Ecco "Headliner indiscusso dal Manzanarre al Reno", il capitolo 19 di "Ultimo tour sulla Luna", il nuovo romanzo di Ljubo Ungherelli pubblicato in esclusiva sul blog di Riserva Indie ogni Giovedì a partire dal 4 Febbraio. Guy e Vicni sono al termine del loro tour finanziato dai fans con una campagna di crowdfunding e, forse, vicini al loro ultimo concerto. Vi ricordo che potete rileggere tutti i capitoli pubblicati sulla tab che trovate nella home page del blog.
Capitolo 19
Headliner indiscusso dal
Manzanarre al Reno
Ero
tornato quasi del tutto in me. La mina della sera prima aveva esaurito i suoi
riverberi negativi. Mi capitava spesso di bere tanto, fino a oltrepassare il
limite. Mi capitava meno di frequente d’andarci giù così pesante da ricordare a
malapena cosa fosse successo a Desenzano. Dentro di me, collegavo quegli
eccessi allo scenario nebuloso che si prospettava per 2 Dualità. Faceva bene
trovare giustificazioni, per lo più inconsistenti, ai propri problemi.
Busnago
poteva essere il nome di una cooperativa di pullman di linea piuttosto che un
grigio comune sperso nella Brianza. Lo raggiungemmo dopo aver superato un
consistente numero di rotatorie. Il navigatore non temeva la nebbia e c’indicò
la corretta direzione. Era il nostro migliore amico, dopo i gatti naturalmente.
L’ultima di queste rotonde ci portò a deviare dalla strada maestra per
immetterci verso il paese, il cui cartello apparve fatti pochi metri. La
desolazione suburbana si dispiegò in tutto il suo squallore. Vicni puntò con
decisione al centro cittadino, che saliva leggermente, fino alla piazza del
comune, da dove scollinammo per raggiungere il Boom Boom, storica sala concerti
dell’hinterland milanese, che pur trovandosi in culo alle faine aveva ospitato
tanti gruppi anche di fama internazionale. E quel giovedì riapriva le sue porte
per accogliere l’ultima data del tour sulla Luna.
“Santifichiamo
il navigatore che c’ha portati sani e salvi al traguardo!”, rimarcai tutto
contento quando la mia dolce metà spense il motore all’interno del cortile sul
retro del locale.
“Guy,
io ti ho portato sano e salvo al
traguardo, non il navigatore.”
“Chiaro…
Ci facciamo una foto da condividere sui social? Con questo clima da horror
postatomico non c’è nemmeno bisogno del fotoritocco, verrà comunque una roba
surreale!”, proposi, continuando a ostentare buonumore.
“Il
genio della lampada a cui apriamo il concerto ha avuto la nostra stessa idea e
l’ha già messa in pratica”, mi rispose scocciata e immersa nello schermo dello smartphone. “‘Stasera il filo di Arianna
mi ha portato al Boom Boom di Busnago. Sarà un concertino per anime latine e
anime salve. Vi aspetto.’”
“Concertino”, ripetei con disgusto.
“Sempre questo finto basso profilo che devi tenere nel nostro ambiente. Quando
poi sei l’essere più spocchioso presente sulle terre emerse dell’indie. E sì
che la competizione è serrata!”
“E
ovviamente a noi nemmeno ci menziona.”
“Nella
sua overdose di grandezza, noi nemmeno esistiamo. Dài, andiamo dentro a vedere,
magari ci smentisce ed è simpatico.”
“Magari
è ancora più stronzo di come sembra, invece.”
In
giro da circa un lustro, Teseo il Minotauro aveva trovato la consacrazione con
“Attestati di stima”, pubblicato in primavera. Presentandosi con la classica
formula del cantautore alternativo dallo pseudonimo magniloquente, che si
accompagnava con chitarra e vari effetti, loop
di batterie, campioni e basi assortite, aveva letteralmente sbancato.
“Siamo
solo a marzo, ma c’è da scommettere che ‘Attestati di stima’ riceverà questi
stessi attestati, perdonate il gioco di parole, in cima a tutte le classifiche
di gradimento che la nostra redazione stilerà a fine anno. Il capolavoro era
dietro l’angolo, l’avevamo già previsto ai tempi di ‘Baglioni oscuri’, che pure
non ci era parso al 100% a fuoco. Con questo nuovo album, che non esitiamo a
definire un capolavoro, l’ex fuorisede pugliese trapiantato a Milano appare
pronto ad assicurarsi un posto al sole nel sempre più radioso panorama indie di
casa nostra. Non perdetelo d’occhio, sarebbe un peccato capitale!” Così aveva
sentenziato l’immarcescibile Fosco Quiličić in coda alla sua
recensione–tappetino su Indie Italie. A ruota, periodici e siti specializzati
si erano genuflessi dinanzi a questo nuovo cantore generazionale. I cui
concerti, partiti a ridosso dell’uscita del disco, avevano riempito i locali di
tutta Italia.
I live
report parlavano di calche disumane e ragazzine in delirio, roba che non si
vedeva da tempo immemorabile nei territori plastificati dell’indie italiano. La
mia bacheca di Facebook era ingombra di contatti che lo elogiavano,
condividevano i suoi video e citavano strofe delle sue canzoni con la stessa
enfasi di quando pubblicavano immagini accompagnate da una risibile didascalia
poetica, invariabilmente attribuita ad Alda Merini, che essendo morta non
poteva prenderne le distanze.
Dopo essersi crogiolato nell’estasi
della stagione dei festival estivi, dov’era stato headliner indiscusso dal
Manzanarre al Reno, Teseo il Minotauro era ripartito per una tranche autunnale di concerti nei club.
Ringraziando i buoni uffici del nostro management, eravamo riusciti a
incastrare la data a Milano e dintorni come supporter del grand’uomo.
Nel
Boom Boom trovammo un discreto marasma. I tecnici del locale andavano avanti e
indietro quasi di corsa, gridandosi indicazioni. Di fatto, nessuno badò alla
nostra apparizione. Chiesi a uno di quei runner,
nel vero senso del termine, se potevamo iniziare a montare. Ancora una volta,
nessuno ci degnò della sua attenzione. Sembravamo due fantasmi.
Il
più agitato, comunque, era un tizio seminascosto in un giaccone col colletto in
pelliccia che gli arrivava fin sopra la nuca. Parlava al telefono a voce alta e
concitata, gesticolando con l’altra mano, che spargeva intorno a sé il fumo
della sigaretta accesa. Era Teseo il Minotauro con un principio di crisi
isterica. Gli mancava qualcosa di fondamentale e stava impartendo ordini
affinché gli pervenisse nel minor tempo possibile.
Ci
sistemammo senza star troppo a badare ai suoi scleri. Poi lui essendo una one man band aveva teoricamente bisogno
di meno spazio per la sua strumentazione. Perciò per ottimizzare i tempi, e
soprattutto allontanarci dalla zona delle operazioni prima che Teseo il
Minotauro iniziasse il check, piazzammo il nostro armamentario sul palco e ce
ne andammo nell’antisala del Boom Boom, in attesa che fosse il nostro turno di
provare i suoni.
Restammo
lì un’ora e mezzo almeno. C’erano tavolini e sedie, un bancone bar e mensole
piene di libri e fumetti. Distrazioni che non bastarono per impedirci di
sentire il soundcheck del nuovo divo dell’indie, e soprattutto le sue lamentele
ed esortazioni a una maggior solerzia nel soddisfare le sue esigenze. Nel
frattempo, fummo raggiunti dalla coppia di finanziatori che avremmo avuto a cena
con noi.
Lei
era una cavallona bionda, con le forme arrotondate, in particolare il pancione
che prometteva un erede in capo a pochi mesi. Il fidanzato era un fulgido
esemplare di bomber delle periferie milanesi. Palestrato perfettamente in tiro,
le vene violacee dure come il marmo che sbucavano dai muscoli delle braccia e
del collo, al pari dei tatuaggi che gli ricoprivano persino il cranio rasato.
Era vestito da biker metallaro,
giubbotto, gilet al posto della maglietta, stivali, tutto in pelle. Eugenera
ricalcava il look del suo uomo. A dispetto della gravidanza, non aveva
rinunciato al completino in pelle, che sfilata la giacca era costituito da un
top che conteneva a fatica le poppe e lasciava nudo il pancione.
“A
lui piace così. Born to be wild”,
rispose stonando a Vicni, che con insolita premura le domandava se non le fosse
scomodo portare quegli abiti.
“È
di sei mesi”, annunciò con orgoglio Ennio Ponciarelli detto il pilota, dando un
buffetto al promontorio di Eugenera. “La nostra bambina è stata concepita
durante la campagna di crowdfunding
che avete fatto per il tour!”
“Hai
capito, Vicni? La loro figlia è un po’ anche figlia nostra! La primogenita
della grande famiglia allargata 2 Dualità. Se ancora non avete deciso chi farà
il padrino e la madrina…”
“Moto,
bionde con le tette grosse e rock’n’roll!”, ci regalò il proprio motto il
pilota, che ridendo con la mandibola squadrata e il bicchiere di birra
innalzato dal braccio innaturalmente bloccato a novanta gradi, pareva un
Robocop anabolizzato. Eugenera implicitamente confermò, rassettandosi i lunghi
capelli e abbassando gli occhi sull’abbondante decolleté.
“Lo
dico sempre, io”, rilanciò Ennio Ponciarelli detto il pilota. “Il rock’n’roll è
la forma più pura di unione dei poli opposti. Io normalmente ascolto solo il
rock’n’roll classico delle origini, quello degli anni Cinquanta, andiamo spesso
alle feste a tema, ai raduni… Ma voi no!”
“In
che senso?”, si riscosse Vicni.
“Voi
siete un’eccezione. Voi anche se siete nati negli anni Novanta, negli anni
Duemila, insomma, voi avete quello spirito là. Quello delle vere radici del
rock, la carica, l’istinto, il sangue, il sesso, i motori. Noi viviamo over the top, sempre, e non è un caso
che quando facciamo l’amore è come a un concerto rock, e la nostra creatura ha
iniziato a esistere mentre di sicuro ascoltavamo il vero rock suonato da voi
due! Diglielo anche tu!”
“Lo
sanno, amore, lo sanno; loro fanno il rock come non lo fa più nessuno in
Italia”, lo avallò Eugenera.
Non
feci nulla per contraddire quella teoria campata per aria. Noi avevamo
semplicemente riadattato certi schemi primordiali del rock’n’roll alle tendenze
che cicliche tornavano alla ribalta nell’indie, di modo da racimolare consensi
a destra e a manca. Eravamo costruiti dall’inizio alla fine. Essere noi stessi
c’avrebbe portato poco lontano. Come c’eravamo cuciti addosso i nostri
personaggi, così avevamo fatto con la musica. Passavamo il tempo a infamare i
gruppi italiani, a deridere le stesse persone che ci elogiavano e a cercare di
farci amici gli uni e gli altri.
L’elemento
di questo meccanismo che mi spaventava era che quel personaggio, e quel
musicista, lo stavo diventando anche nella vita. Ero tutto sorrisi verso
chiunque, comprese persone che manco avrei avuto interesse a salutare, e
suonavo e componevo musica col solo obiettivo che potesse piacere al pubblico.
Non riuscivo più a distinguere il mio gusto personale da ciò che ritenevo fosse
giusto proporre per far progredire la mia carriera.
Non
avevo idea se Teseo il Minotauro credesse in ciò che faceva, oppure fosse poco
più che un mestierante, come stavo diventando io. Qualunque fosse la risposta,
si trattava di una persona profondamente sgradevole. Aveva finito il check e
non pareva per niente soddisfatto. Fece irruzione nell’antisala e iniziò ad
aggirarsi come un tarantolato, continuando a lanciare invettive e berciando
ordini al suo entourage, una ragazza e un ragazzo che avevano timore solo a
respirare per non esacerbare la sua ira.
“Sul
palco non si sente un cazzo! La mia voce deve uscire cristallina dai monitor,
equalizzata sopra la chitarra e le basi. Invece gracchia e fischia tutto da
fare schifo. Questo è il peggior locale dove ho suonato nelle ultime settimane.
Ma chi l’ha organizzata questa serata? Questa è l’ultima volta che mi vedono,
dirò al booking di girare alla larga da certi posti di merda.”
Presentivo
che avrebbe chiamato in causa pure noi. Non avevo voglia di discuterci, però
non mi andava giù il pensiero d’essere strapazzato da quel coglione che
strillava come un bimbo viziato cui i genitori han fatto l’errore di darle
tutte vinte. Lui, di contro, aveva la vena completamente intasata.
“Tecnici
incompetenti e lavativi”, ripartì in quarta Teseo il Minotauro, “che hanno pure
permesso a quegli altri di piazzarmi in mezzo la loro roba. Io devo potermi
muovere liberamente da una parte all’altra, senza che rischio che il cavo della
chitarra s’impiglia su qualche suppellettile inutile che sta dove non ci deve
stare. E in più c’è quella cazzo di batteria fottuta che mi ruba più di metà
dello spazio sul palco!”
Mi
alzai in piedi, senza nemmeno sapere come iniziare la controffensiva. Gli
attacchi a Vicni mi irritavano molto più di quelli indirizzati a me.
“La
batteria la smontiamo appena finiamo di suonare, tranquillo, non rischi che
c’inciampi e me la sfasci”, mi precedette invece lei, restituendo freddamente
al mittente le accuse del Minotauro. Mentre con una calma soprannaturale
sfidava il salvatore della musica italiana, Vicni mi prese la mano e mi fece
rimettere a sedere. Intrecciò pure le sue dita tra le mie. Tornato al mio
posto, la baciai sul dorso della mano, quindi sciolsi la presa.
“Sarà
meglio”, borbottò Teseo il Minotauro, con tutto lo spregio che lo status di
primadonna dell’indie italiano lo autorizzava a dispensare all’umanità.
“Va’
che faccia da pirla che è quello là. Io gli avrei dato quattro sberle qui
davanti a tutti, così magari la smetteva di fare lo splendido!”, ci assicurò
Ennio con fare giobbesco.
“Certo,
così anziché l’ultima data del tour, questa diventava l’ultima data della
nostra carriera”, gli rispose Vicni, sempre col contegno distaccato con cui
aveva affrontato Teseo il Minotauro. La fissai, cercando di capire se fossero
dichiarazioni diplomatiche di fronte agli ignari fan o sottintendessero la
convinzione d’andare avanti. In cuor mio, a ogni uscita del genere associavo un
barlume di speranza che potesse tornare sui suoi passi. Non avevo idea di cosa
c’avrebbe riservato il futuro. Ero solo maledettamente preoccupato.
“Sentite
me”, dissi a Eugenera e Ponciarelli, “noi dobbiamo fare il soundcheck, poi
ceniamo tutti insieme. Però prima, sono troppo curioso: mi piacerebbe che
andassimo un minuto fuori così ci fate vedere il bolide!”
“Eh
no”, rispose costernato il pilota, “mi spiace ragazzi, la moto è rimasta in
garage, ho preso l’auto. Sapete, questa bimba qui, e anche la nostra bimba che
nascerà presto, vanno trattate con cura. Proprio come la moto, se no si
usurano. Però siamo venuti lo stesso su un bel bolide!”
L’immagine
dei due ottusi rocker a tutto gas che si presentavano al nostro concerto con la
berlina coreana a due porte parcheggiata proprio accanto alla Luna mi
accompagnò per l’intera mezzora che c’impegnò il check.
Testo di Ljubo Ungherelli
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