Ecco l'intervista che Livia Satriano ci ha concesso per presentare "Gli Altri Ottanta, racconti dalla galassia post punk italiana", il libro che racconta la new wave italiana e i suoi protagonisti.
Ciao Livia, parliamo del tuo "Gli altri Ottanta, racconti dalla
galassia post punk italiana". Quando hai avuto l'idea del libro e come
hai strutturato la narrazione?
L’idea è venuta parlandone assieme ad Andrea Scarabelli, sulla linea
di un altro volume che aveva curato per Agenzia X, “Suonare il paese
prima che cada”. In quel caso si trattava di racconti orali di musicisti
italiani degli anni 00. Abbiamo pensato potesse essere interessante
fare qualcosa di simile, ma focalizzando l'attenzione sugli anni 80. Gli altri Ottanta
è un libro essenzialmente narrativo, composto da 14 racconti in presa
diretta. Tutte interviste che ho fatto e che ho poi trascritto ed
editato, cercando sempre di mantenere la spontaneità e peculiarità di
ogni singolo racconto.
Che scena era quella post punk italiana degli anni 80? C'erano
differenze tra le varie realtà locali italiane? C'erano scene più
politicizzate di altre?
Anche in Italia la rivoluzione del punk diede i suoi frutti,
instillando in molti giovani la smania di fare qualcosa di nuovo e
diverso rispetto a tutto quello che era già stato fatto. In musica
questo si è tradotto anche in un nuovo approccio alla musica rock, che
ha dato vita a esperienze fatte spesso di contaminazioni: l’elettronica
che incontra il punk (penso alla musica di Krisma e Neon), un
cantautorato “rock” come quello dei Diaframma… Fu un periodo di
sperimentazioni, ma soprattutto di grande aggregazione giovanile.
L’inizio di tutto, soprattutto in una città come Bologna, si mescolò
alle istanze del Movimento del ’77, quindi è naturale che di base vi
fosse anche una forte spinta ideologica. Come mi raccontava Freak
Antoni, "la politica in quegli anni pervadeva tutto e anche chi non
‘faceva politica’, paradossalmente, stava compiendo un gesto politico.”
Nel libro dici che "Non furono anni di piombo ma semmai anni di pongo". Come mai questa definizione?
Non sono io a dirlo, ma Freak Antoni. È una definizione che mi
ha colpito molto ed è per questo che ho intitolato il suo racconto
proprio "Anni di pongo". Il pongo è una materia plasmabile e perciò
molto più adatta, secondo lui, a disegnare il percorso di quel periodo.
Un periodo con mille sfumature e in continua evoluzione.
La musica di quel periodo sembra vivere una seconda giovinezza
oggi. Penso ai CCCP sempre più "riscoperti" dai giovanissimi o da
Fiumani che è un po' il papà di tutta la scena indie attuale. Cosa manca
alla musica degli anni Zero per far nascere nuovi "eroi"?
Bella domanda, ma credo sia ancora presto per dirlo. Chissà che fra
trent’anni non si parli negli stessi termini di artisti dei giorni
nostri. Certo una differenza fondamentale sta nel fatto che la musica
degli anni Zero è una musica che spesso guarda indietro, una musica che
cita, ripropone, quella “retromania” che sembra appartenere un po’ a
tutte le epoche, ma che in dosi maggiori permea la nostra. Fra il finire
dei Settanta e l'inizio degli Ottanta sembrava ci fosse una tendenza
opposta, le cose vecchie venivano ripudiate e lo slancio verso il nuovo
era totale. E forse proprio questo è stato il segreto della longevità di
molta di quella musica.
Gli anni 80 erano un'epoca senza Internet e wi-fi e i "social"
virtuali di oggi erano sostitutiti dalle fanzine di carta. Cosa ne pensi
di questa "evoluzione"? Una webzine ha lo stesso "peso" di una
fanzine? E se negli anni 80 al posto dei vinili ci fossero stati file
mp3 si sarebbe comunque sviluppata la scena post punk italiana?
Non credo si tratti di una questione di formato della musica, bensì
più di una questione di effettivo coinvolgimento delle persone e
sicuramente l’epoca attuale tende un po’ a scoraggiare questo tipo di
interazioni. Siamo sempre più soli e travolti da mille stimoli diversi
che talvolta selezionare e trovare del buono da una massa di input
diventa un’impresa veramente difficile. Una webzine ha potenzialità
incredibili perché in teoria è disponibile sempre, ovunque e per tutti,
ma bisogna poi capire quanto effettivamente di questo serva a
coinvolgere le persone. Tuttavia non credo di essere forse la persona
più giusta a esprimere un mio parere in merito, avendo avuto io, per una
questione anagrafica, la possibilità di confrontarmi solo con uno dei
due lati della medaglia. Molte scene sottoculturali sono nate e si sono
sviluppate anche grazie e in funzione dei nuovi mezzi di comunicazione
digitale quindi non credo che quello che è successo allora non sarebbe
comunque potuto accadere anche oggi. Certo le modalità e i presupposti
sarebbero stati diversi...
Il contributo di molti artisti al tuo libro è fondamentale. Hai
incontrato molti personaggi che ancora adesso sono icone. C'è qualcuno
che ha provato "fastidio" per essere stato interpellato sul suo passato
anziché sul suo presente?
No, non è mai successo. Si tratta per lo più di persone che hanno
ancora oggi un forte legame con la musica. Essa è comunque parte della
loro vita, a diversi livelli, perciò parlarne non è stato un fastidio
per nessuno. Tanto più che si è trattato sempre di affrontare un
discorso più ampio, in cui il confronto e il dialogo con il presente
erano costanti e inevitabili.
Che idea ti sei fatta degli anni Ottanta? Potessi portare qualcosa di quegli anni in questo periodo cosa sceglieresti?
I racconti del libro e le chiacchierate che ho fatto con i
musicisti coinvolti nel volume mi hanno sicuramente offerto uno spaccato
abbastanza etereogeneo di quegli anni. Non credo ci sia qualcosa di
preciso di quel periodo che vorrei con me nel presente, se non forse
quel senso di sorpresa nella scoperta di cui molti mi hanno raccontato.
Imbattersi in qualcosa per la prima volta senza avere già delle idee a
riguardo, mettere un disco sul giradischi e non sapere in alcun modo
cosa ti aspetterà. Essere una tabula rasa e lasciarti stupire ed
entusiasmare dalla scoperta di qualcosa di nuovo che sta accadendo
proprio in quel momento. Questo sì, mi piacerebbe.
Prima di chiudere vorrei ci parlassi un po' anche del tuo
precedente libro "No Wave. Contorsionismi e sperimentazioni dal CBGB al
Tenax".
Sì, si tratta di un saggio e perciò è un volume molto diverso da
quest’ultimo. Tutto è nato dalla mia tesi di laurea sulle sottoculture
musicali nella New York di fine anni 70. Da lì è venuta l’idea di
parlare della no wave, una scena/non-scena musicale e artistica, di cui
in italiano non vi erano ancora trattazioni esaustive. Si parla quindi
di musica, con le band di “No New York”, ma anche di arte e di cinema
d'avanguardia. Inoltre, molte erano state le connessioni fra la scena
underground newyorchese di quegli anni e l'Italia: influenze musicali,
ma anche effettivi contatti, incontri e scambi fra musicisti e artisti
americani e italiani. Aspetti storici e sociali che mi sembravano
interessanti da raccontare in un volume che non fosse così un semplice
saggio musicale.
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