HIVES live in Berlino 2012 - Reportage di Riserva Indie
La prima differenza che salta all'occhio è l'approccio del pubblico al live. Mentre in Italia l'evento è tale solo se lo spettatore medio lo puo riprendere sul suo telefonino (o per i più ricchi e frequentatori di loft da centrosinistra sul proprio I-Pad) per poi guardarlo comodamente a casa e poterlo condividere con altre persone che hanno lo stesso livello di intelligenza, in Germania la gente va al concerto non per guardare l'esibizione su uno schermo piccolo tra le dita ma per viverla attraverso le emozioni che giungono dal palco. Per cui inevitabile l'imbarazzo quando mi sono accorto di essere praticamente l'unico che alzava la propria Kodak per immortalare uno spicchio di evento. L'evento è quello degli Hives alla Columbia Halle di Berlino il 22 Novembre scorso. La band capitanata da Pelle Almqvist ha ormai 20 anni di carriera in cui ha prodotto 5 album e una qualità musicale che, pur rimanendo sopra alla media, è andata scendendo album dopo album. L'ultimo,"Lex Hives", ha riscosso un enorme successo in terra di Svezia ma non ha ancora lasciato il segno nelle altre chart europee e americane nonostante la forza del primo singolo estratto, "Go right ahead", un classico in tutti i sensi, della band di Fagersta. Il concerto inizia potente con un intro di pianoforte a luci spente e la musica che si "accende" (così come i grandi neon sul palco che formano il nome della band) con "Come on" la traccia di apertura di "Lex Hives" e gli Hives che si presentano on stage elegantissimi col cilindro in testa.
Inevitabile il pogo selvaggio ma non violento (in Italia abbiamo il pogo selvaggio e violento anche perchè divertirsi senza rompere le scatole al vicino non è una delle qualità dell'italiano medio) che si alimenta con il primo classico in scaletta: "Walk idiot walk". Concerto d'impatto, fisico,ma non privo di qualche sbavatura tecnica e arricchito dai monologhi, a volte eccessivi, di Pelle che, tra un brano e l'altro, invita in tre lingue il pubblico ad acquistare il nuovo album anche in vista delle prossime festività natalizie. Lo show scivola via in un crescendo ("Take back the toys", "My time is coming", "Main offender", "Wait a minute", tra gli altri) che ha la capacità di far salire, come se ancora ce ne fosse bisogno, l'adrenalina ai fan più "sportivi" e ad allentare i freni inibitori a chi si era posto come obiettivo massimo di tenere il ritmo con il piedino, quasi fosse seduto in uno Starbucks qualsiasi con "Buddha bar" come sottofondo.
La scaletta si basa principalmente, e inevitabilmente, sull'ultimo album suonato quasi integralmente con innesti mirati dai vecchi lavori. La miccia prende fuoco in tutta la Columbia Halle con l'arrivo del superhit di sempre: "Hate to say I love you so".
La sala diventa un'enorme arena in cui esercitare il pogo libero diretto con maestria da Pelle che si getta sulle prime file a metà del brano per lasciare il palco alla chitarra e al carisma del chitarrista Nicholaus Arson e al resto della band. Inevitabili i bis a furor di popolo e la chiusura(con il pubblico ormai totalmente fuori controllo) con una versione lunga e devastante di "Tick, tick, boom".
Un grande concerto che conferma gli Hives come veri animali da palcoscenico ai quali (forse) ora manca un nuovo album all'altezza di "Tyrannosaurus rex" per renderli immortali. Menzione conclusiva ed elogio per "The Bronx", band di Los Angeles che ha fatto da opening act agli Hives.
Una barriera del suono impressionante per una band con lo sguardo rivolto al passato (Deep Purple) ma capace di creare un hard rock mai banale e "plastificato" (come quasi tutto il rock duro americano degli ultimi 10 anni) e di tenere splendidamente il palco. Lunga vita anche a loro. Esco dalla Columbia Halle e trovo i carrelli dove i ragazzi che hanno visto il concerto hanno diligentemente appoggiato (non lanciato, proprio appoggiato) le bottiglie di birra appena bevute e se ne vanno con un parsimonioso silenzio verso il Magnet dove c'è l'aftershow. Sulla strada nessuno urla, schiamazza, suona il clacson e sta al cellulare mentre cammina tranne cinque o sei persone davanti a me... Ah, ti pareva, sono italiani.
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