giovedì 2 giugno 2016

ULTIMO TOUR SULLA LUNA // CAPITOLO 18: QUALCOSA DI SCONVOLGENTE - UN ROMANZO DI LJUBO UNGHERELLI


Ecco "Qualcosa di sconvolgente", il capitolo 18 di "Ultimo tour sulla Luna", il romanzo di Ljubo Ungherelli pubblicato a capitoli in esclusiva sul blog di Riserva Inde ogni Giovedì a partire dal 4 Febbraio. Guy e Vicni sono in viaggio verso Busnago per l'ultima tappa del tour finanziato tramite una campagna di crowdfunding. Vi ricordo che potete ritrovare tutti i capitoli già pubblicati sulla tab dedicata al romanzo nella home page di questo blog.



Capitolo 18
Qualcosa di sconvolgente

Giovedì, metà pomeriggio, a bordo della Luna. 2 Dualità in viaggio alla volta di Busnago, dove si svolgerà la settima e ultima data del tour. Meteo inclemente con una curiosa mistura di pioggerellina fitta e nebbia. Vicni alla guida. Guy, ancora ottenebrato dagli eccessi della sera precedente, accasciato sul sedile di destra.


Vicni: Tempaccio infame, oggi. Visibilità sotto i cento metri. Ci vorrebbero i miei gattini con vista a infrarossi per filare lisci in questo pantano. Meno male ho un compagno di viaggio che mi supporta e mi dà mano.
Guy (sbadigliando): Questa di solito è la mia parte. Stai mischiando i ruoli. Ma sono troppo stanco per controbattere.
V.: La sera leoni, il giorno dopo dormiglioni. Era un po’ diversa ma te la risparmio per compassione.
G.: Come sei buona…
V.: Lo sono nella speranza che tu stasera sia in grado di reggerti in piedi. Se no potevo lasciarti dormire a Desenzano, farmi il concerto da sola e venire a riprenderti domani.
G.: Sono mai stato meno che al 110% della forma, in questi anni di concerti di 2 Dualità?
V.: C’è sempre una prima volta, Guy. E spesso c’è anche un’ultima volta.
G.: Non sarà stasera la prima volta. L’ultima non lo so, non dipende da me. (fa una pausa) Le spazzole tergicristallo grattano sul parabrezza. Fanno un rumore terrificante. Pare un dj che fa scratch con un disco bagnato.


V.: Te ne accorgi solo adesso? Sei ancora più stordito di quanto pensassi.
G.: Sono consumate… Sono da cambiare… Ma non potevano pensarci quelli della Luna? Cazzo, lo sapevano che partivamo per un tour. Dovevano controllare, accidenti a loro.
V.: Adesso sei tu che stai facendo la mia parte.
G.: A proposito di tergicristalli, ti ho mai raccontato di quando suonammo da queste parti, in un paese della Brianza, con una cover band di punk anni Novanta dov’ero chitarrista e seconda voce?
V.: No, Guy. D’altronde, tu non mi racconti mai nulla di te.
G.: Fringuellina, ti adoro quando ti approfitti della mia debolezza per colpirmi col mio repertorio di frecciate.
V.: Voi uomini siete tutti dei deboli. Per questo usate la forza bruta e la discriminazione. Per nascondere la vostra debolezza dietro la violenza bestiale. Siete frustrati poiché le donne riescono in qualunque cosa meglio di voi e cercate di mantenere l’egemonia con i mezzi più bassi. Ma siete destinati a perdere. Un giorno o l’altro il potere vi sfuggirà di mano, e quella mano vi tornerà buona giusto per farvi le seghe!
G.: Alé, è arrivata la tirata femminista da astinenza secolare di cazzo… Ti stavo dicendo, avevamo un repertorio di pezzi dei gruppi del giro californiano quando scoppiò il revival del punk melodico, Green Day, Bad Religion, NOFX…
V.: Guy, me lo ricordo quel gruppo. I Rock And Roll Lobont, li ho anche intravisti in qualche festa d’estate. Però non mi ricordavo ci suonassi pure tu.


G.: Sì, ho suonato anche con loro. Ovviamente i concerti li facevamo per lo più in zona; una volta invece ci chiamarono in un locale dell’hinterland su questo versante. Un amico del cantante e bassista che viveva lì ci aveva fatto da gancio, aiutandoci a fissare la data. Avevamo fatto il concerto, c’eravamo sfasciati dal bere e al momento di sbaraccare c’eravamo resi conto che l’amico del cantante, che c’avrebbe ospitato per la notte, abitava in un altro paesino fuori mano. Lui ci faceva strada con la sua auto e noi dietro col trabiccolo del padre del batterista, che faceva le consegne di caffè nei bar e quindi giravamo con questo catorcio decorato con una tazza gigante e fumante che spandeva il suo aroma in una scia che copriva tutta la fiancata. Prendemmo delle stradine immerse nella brughiera, con una nebbia dieci volte più fitta di adesso. Il batterista cercava di star dietro all’altro tizio, che era pratico del percorso e andava spedito, come tutti da queste parti, che hanno sempre furia. Io suggerii di accendere i tergicristalli, per vedere se migliorava almeno un minimo la situazione. Il batterista mi disse di non sparare cazzate, che era perfettamente inutile. Intanto, eravamo senza punti di riferimento, la macchina davanti era sparita nella notte. E la visibilità continuava a diminuire. Io provai a insistere sulla storia dei tergicristalli. Lui, solo per dimostrarmi quanto stupida fosse la mia idea, girò la manopola e le spazzole si mossero sul parabrezza una sola volta. E sai cosa accadde? Un miracolo! In un istante eravamo passati dalla cecità all’occhio di lince! Come se all’improvviso avessero acceso due file di lampioni che illuminavano a giorno la strada!
V.: E la nebbia?
G.: Non c’era. O meglio, ce n’era un po’ quand’eravamo partiti. Il resto era uno strato di condensa megaspesso che si era formato nel corso della serata.
V. (azionando freneticamente i tergicristalli): Qui non funziona. La nebbia parrebbe reale. E pare di stare ad ascoltare qualche complesso di rumorismo sperimentale, con la differenza che le spazzole della Luna non vanno fuori tempo. Ce n’era un paio, dalle nostre parti, te li ricordi? C’ho pure collaborato con uno di quei gruppi, i Death.Deaf.Test. Facevo delle note di synth stile drone, mentre i tre chitarristi facevano ciascuno delle note a casaccio, sempre stile drone. Tutto un crescendo a questa maniera, finché non arrivava il tipo della sala prove a mandarci via perché il nostro turno era finito.


G.: Dei miei amici mi ci portarono a uno dei primi concerti dei Death.Deaf.Test, dicendomi di prepararmi a qualcosa di sconvolgente. Avevano ragione, fu sconvolgente. Solo che loro intendevano sconvolgente in senso positivo. Per me fu così sconvolgente che dopo un quarto d’ora scappai via!
V. (vedendo Guy di colpo ammutolito e assorto sullo smartphone): Che cerchi? Mica qualche nenia dei Death.Deaf.Test?
G.: Tranquilla, padrona delle dune. Mi è tornato in mente di quando partecipammo al contest “A tutti play”, dove l’anno prima avevano suonato pure loro. Arrivando fino alla semifinale. Una roba immonda.
V.: Lo so, Guy. C’ho suonato insieme.
G.: Dicevo l’“A tutti play”, non i Death.Deaf.Test. Costoso, organizzato da far pena, senza uno straccio di credibilità.
V.: Infatti io non ho mai partecipato. Tu invece…
G.: Il gruppo votò a maggioranza per l’iscrizione. È la democrazia, bellezza. (riprende a consultare lo smartphone) Ecco, sono sul sito ufficiale. Chi siamo, il bando di concorso, regolamento, bla bla bla… La storia! Senti i nomi dei vincitori delle varie edizioni: Gli Adoratori del Demanio, i Plastilina Express, i Sad But Trans, Gli Esseri Inutili, finalmente un nome appropriato…
V.: E chi li conosce tutti questi fenomeni?
G.: Appunto. Però in compenso si bullano d’aver lanciato numerosi gruppi, tra cui il nostro. Lanciato non si sa bene dove, forse nello scarico del cesso, dato che ci volarono fuori al primo turno. E con noi, i pochi gruppi validi che fecero l’errore di gioventù d’iscriversi a quel cazzo di contest. Stroncati da un letale mix di voto popolare degli amici a cui i gruppi formati da ragazzetti di buona famiglia regalavano vagonate di biglietti per assistere alle selezioni, e giuria di addetti ai lavori che credo fossero audiolesi. Oltre ad avere l’Alzheimer.
V.: Povero caro, buttato fuori da un contest di scarsoni per un complotto internazionale! Noi dovevamo fare la trafila dei talent show, altro che.
G.: Saremmo sempre in tempo, a dirla tutta…
V.: Non lo so, Guy. Non sono sicura. Non credo.
G. (quasi gridando): Ma perché?
V.: Ti preferivo moribondo coi postumi della sbronza. Ne abbiamo già parlato.
G.: Sì ma non mi hai detto che mezze frasi peggio di un rebus!
V.: Abbiamo tutto il tempo di parlarne con calma quando torniamo a casa alla fine del tour. Cazzo, Guy, ragiona, non ti far trasportare dall’onda del momento. Non mi sto mica per trasferire in Patagonia! Credi forse che da domani non ci vedremo più?
G.: Tesoro, ho tanta paura che succeda una cosa del genere.



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