domenica 12 febbraio 2012

Recensione - Il Mondo Nuovo de Il Teatro degli Orrori



Recensire l'album di una delle band italiane più osannate da critica e pubblico non è semplice. Se poi questa stessa band viene da due album strepitosi come Dell'Impero delle Tenebre (2007) e A Sangue Freddo (2009), l'impresa si fa davvero ardua. Il rischio è di farsi risucchiare da quello che io chiamo "il complesso dell'acritica sudditanza". E capita spesso e a molti. Oh, se capita! E non solo nei confronti dei grandi nomi internazionali ma anche di quelli nostrani. Insomma, per farla breve, il primo ascolto de Il Mondo Nuovo era carico di aspettative e, purtroppo, le ha deluse.
Un disco eclettico, complesso, con un concept dichiarato da tempo: sedici canzoni che equivalgono a sedici storie di immigrati. Il disco, infatti, doveva chiamarsi Storia di un Immigrato, un chiaro rimando al disco di Fabrizio De Andrè Storia di un Impiegato del 1973. Forse per evitare inutili parallelismi, la band ha poi optato per un altro titolo, prendendo ispirazione dal capolavoro della letteratura fantascientifica scritto da Aldous Huxley: Brave New World (tradotto in italiano come Il Mondo Nuovo).
L'uscita del disco, pubblicato come i precedenti da La Tempesta, è stata anticipata dal singolo IoCerco Te, che sembra quasi dire "Ok ragazzi, ricominciamo da dove ci eravamo lasciati": ci si sente subito catapultati nelle sonorità proprie del TdO, con un bel testo che  non si è fatto mancare le solite polemiche - per la frase Roma Capitale sei ripugnante -. Nonostante ciò, i media "ufficiali", quelli che contano, non si sono fatti intimorire e hanno dedicato alla band  l'importanza e lo spazio che meritano e nelle molte interviste, lo stesso Capovilla parla di lavoro più "commerciale" rispetto ai precedenti. 
A me l'ascolto ha suscitato sensazioni completamente opposte: dalla lunghezza del disco: 16 brani, 75 minuti di musica - praticamente un'eternità -; al sound, dove il rock-noise più estremo si mescola, non sempre in maniera felice, ai ritmi tribali - Gli Stati Uniti d'Africa - o al rap - Cuore d'Oceano ft. Caparezza - lasciando spazio alle chitarre acustiche e alle melodie più dolci in Ion - storia di Ion Cazacu, operaio rumeno ucciso nel 2000 a Varese - e nella bellissima Vivere e Morire a Treviso; per arrivare ai testi, cantati o, per meglio dire, incarnati da Capovilla stesso, che sembra aver vissuto tutte le esperienze di dolore, morte e amore raccontate nelle sedici, lunghe, tracce sulla sua pelle; il cantato-recitato è sempre stato il centro della canzone del TdO, ma qui non lascia spazi: assorbe tutto la spinta, penalizzando la musica, ma non riesce a far spiccare il volo al brano.
Non so a cosa stesse pensando Capovilla, ma a me sembrano molto più commerciali canzoni come A Sangue Freddo o La Canzone di Tom, giusto per dirne un paio. 
Insomma, il disco è difficile da assimilare, la cruda realtà in cui è immerso lo rende cupo e terribilmente vero, ma troppo chiuso su sé stesso, come se dovesse dimostrare di poter trasportare il Teatro degli Orrori verso nuovi stili, nuove prospettive, nuove storie, che forse potremo apprezzare meglio nel prossimo disco, ma che per il momento lasciano molti dubbi e poche soddisfazioni. 

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