Se ci credi davvero con tutta l’anima anche i sogni che sembrano più pazzi possono a poco a poco realizzarsi. E’ il caso degli Ÿnsanÿa, indie band della provincia di Cosenza che stanno investendo tempo e impegno per raggiungere il tipo di suono che i componenti hanno in mente. Matteo Ferraro (voce e chitarra), Manuel De Rose (chitarra solista), membri fondatori, cui si sono uniti Mario Saccomanno (basso) e Fabio Cusato (batteria) hanno assorbito a fatta propria la musica di band essenzialmente britanniche degli anni 90, ma anche oltre, riuscendo a fondere il suono con il cantato melodico più tipicamente italiano facendo perno sulle notevoli doti canore di Matteo. Ma una squadra vincente non la fa solo il centravanti ed infatti anche Manuel, Mario e Fabio sanno ritagliarsi uno spazio di tutto rispetto. Il groove che esce dagli altoparlanti dello stereo è coinvolgente e non stanca mai perché ognuno dei brani finora pubblicati dalla band ha, allo stesso tempo, una riconoscibilità, ma non suona mai uguale agli altri. L’ultimo singolo, su cui il gruppo punta forte, è “Pezzi di vetro”, uscito quest’anno in una doppia versione, full band, energica e impossibile da ascoltare da fermi e una seconda versione, più sospesa e sognante con l’accompagnamento del piano e, sul finale di una chitarra alla David Gilmour. Ma anche i singoli precedenti, soprattutto quelli editi nel 2024, spiccano per la qualità della proposta. “Phunk” è infatti una traccia guidata dalla voce di Matteo e dalle chitarre di Manuel che si innestano su una sezione ritmica che sa plasmare e rifinire il tutto al meglio. Divertente il siparietto che si apre a due terzi del pezzo quando “entra in scena” un classico da sala prove, ovvero quando gli elementi si punzecchiano bonariamente perchè hanno idee diverse su come dovrebbe prender forma il brano. Assolutamente degna di citazione anche “Don’t look back in hangover”, (ndr. hangover significa sbronza) che a parte il richiamo alla celebre “Don’t look back in anger” degli Oasis, peraltro attualissima dopo la reunion dei fratelli Gallagher, sa fondere due anime, una più alla Lenny Kravitz e una più vicina ai Pink Floyd. Altro elemento decisamente interessante degli Ÿnsanÿa sono i testi, spontanei ma mai banali ed in grado di accrescere il coinvolgimento del pubblico.
Matteo Ferraro, voce e chitarra, ha accettato di fare quattro chiacchiere per approfondire la carriera fino ad oggi degli Ÿnsanÿa e commentare i loro brani
- Matteo ho letto che vi siete formati nel 2022, quindi siete un gruppo relativamente recente e in meno di tre anni siete passati dalla sala prove ai palchi di Sanremo Rock e di Castrocaro. Vi ritenete soddisfatti del vostro percorso fin qui?
- Fin qui direi di sì, sono stati palchi che hanno contribuito alla formazione della nostra identità che abbiamo oggi e in realtà è in continuo evolversi. Anche queste esperienze qua hanno contribuito alla nostra presa di coscienza, perché ci confrontavamo. Diciamo che sono state le prime volte che uscivamo di casa. Siamo una band della provincia di Cosenza ed essendo al Sud non ci sono gli stessi palchi che ci sono altrove e quindi rapportarci in questi contesti è stato molto stimolante.
- Molti gruppi indie italiani compongono in inglese. Non credi che ci sarebbe bisogno di un rinnovamento del rock in italiano?
- Anche io in realtà sono un grande fan dell’inglese, le prime canzoni che ho scritto nel 2019 quando il gruppo ancora non esisteva, erano totalmente in inglese e avevo in realtà intenzione di proseguire poi non so forse è prevalsa l’idea di farsi capire più facilmente in Italia e da qui la scelta di scrivere in italiano. Però secondo me è bello farlo in entrambe le lingue. Sono pro entrambe le cose.
- Tendenzialmente è forse più facile scrivere in inglese anziché in italiano.
- Sì tendenzialmente sì anche se sono due culture molto diverse, quindi ci sono dei parametri che vanno rispettati nella scrittura in italiano e altri parametri che vanno tenuti in considerazione nella scrittura in inglese, che altrimenti scade in una cosa diciamo un po’ superficiale.
- Passiamo ad analizzare un po’ i vostri singoli. Ho ascoltato “Pezzi di vetro” sia in versione full band che in versione semiacustica. Nella versione full band si sentono le influenze del rock inglese e del britpop, qualcosa dei Franz Ferdinand coniugati con un gusto per la melodia tipicamente italiano. Come gruppi italiani mi verrebbero da citare i Negrita per esempio.
- Sì ci siamo mossi su quella scia lì, quando abbiamo riascoltato il pezzo l’ho visto anche sulla scia de Le Vibrazioni, non a livello di sound, forse a livello testuale, degli accenti delle parole sembrava un po’ anche un pezzo de Le Vibrazioni e sì anche i Negrita sono stati tenuti in considerazione, nelle influenze anche i Franz Ferdinand soprattutto e tutta la scena brit è diciamo sempre luogo di contaminazione.
- Nella versione acustica di “Pezzi di vetro” la tua voce ha modo di dispiegarsi di più, si sente che hai una buona estensione vocale. Che formazione hai come musicista, sei un autodidatta o l’hai studiata?
- In realtà si potrebbe dire tranquillamente cinquanta e cinquanta. Ho iniziato a studiare musica quando avevo circa 8 o 9 anni, ho iniziato a studiare pianoforte, poi mi sono avvicinato alla chitarra, ma anche al basso e all’ukulele. In realtà la voce è arrivata dopo, ho preso per qualche mese lezioni di canto ma diciamo niente di particolare, giusto per tenere le due ore di live senza stancarsi e arrivarci morti con la voce.
- Hai imparato ad usare il diaframma nel canto immagino.
- Esatto! Non essendo tra i fortunati dotati per natura ho dovuto studiare.
- “Don’t look back in hangover” a parte che è una divertente citazione degli Oasis, ma a livello di sonorità nella chitarra mi ricorda un po’ Lenny Kravitz e in alcune parti ricorda un po’ anche i Maneskin.
- Questa cosa dei Maneskin è stata più volte discussa perché forse è stato involontariamente perché noi i Maneskin non li abbiamo forse mai presi in considerazione come fonte di ispirazione. Lenny Kravitz per il riff di chitarra sì, in questo caso ci abbiamo pensato effettivamente per seguire un po’ la sua scia, anche lui super artista indipendente che si produce da solo e tutto quanto. Lui è sempre stato un idolo sotto questo punto di vista. Mentre invece per i Maneskin no non abbiamo mai pensato di prendere qualcosa da loro però ce l’hanno detto anche altri, che anche in altri pezzi come “Don’t look back in hangover” si sente una forte influenza dei Maneskin. Diciamo che è stata una cosa involontaria perché non ci abbiamo pensato durante la scrittura del pezzo.
- Un altro pezzo che mi ha intrigato è “Phunk” che è un funk vibrante. Come è nata?
- “Phunk” è forse la canzone concept per eccellenza che abbiamo scritto. Quel che mi dispiace è che queste produzioni sono state curate troppo poco per il semplice fatto che avevamo come mezzi semplicemente chitarra, basso e batteria. Quindi non avevamo ancora uno studio, non avevamo ancora un canale di distribuzione. Poi siamo stati distribuiti dalla nostra etichetta che abbiamo trovato poi più in là, dopo un annetto e mezzo di carriera diciamo. “Phunk” nasce da un concept che è quello di “Ph”, che potrebbe significare tranquillamente il Ph delle foto, quello della pelle. Infatti nel testo ci sono citazioni riguardanti la “pelle acida”, Ph per quanto riguarda le foto quindi tutto ciò che è legato al mondo dell’apparenza, quello che si vede dalle foto sui social ad esempio e “Ph” anche per quanto riguarda la sessualità, quindi anche “PornHub”. Siccome è un pezzo funk abbiamo detto “scriviamo funk col ph e scriviamo il testo in relazione a quello che abbiamo pensato. E infatti il testo parla di una persona che ha magari la pelle acida. “La tua pelle è acida come te”, quindi paragonata appunto alla persona e spieghiamo di questa ragazza che vive nell’apparenza.
- Come molte persone adesso purtroppo. Altra domanda, quali sono i vostri progetti futuri? Volete fare molti live, registrare altre cose in studio…
- Sicuramente ci stiamo evolvendo sotto il punto di vista del sound perché stiamo passando dal fare rock diciamo un po’ più alternativo all’altra faccia della medaglia, cioè proprio al pop. Stiamo preparando delle produzioni prettamente pop funk, electro quindi con l’aggiunta di synth, campionatori, drum machine, un sacco di roba insomma. Quest’estate contiamo di fare qualche data ma soprattutto concentrarci sulla registrazione. Abbiamo potuto chiuderci da mesi a questa parte a preparare delle nuove demo e ci siamo presi addirittura una casetta per poterci andare a rinchiudere in full immersion. Ovviamente bloggheremo tutto quanto, quindi faremo dei contenuti su quello. Questo è il nostro progetto più importante. Ovviamente oltre alle date. A settembre apriremo per i Patagarri, band di X Factor che è andata fortissimo. Ed è il nostro primo open per qualcuno di emergente che però è già famoso e poi altre date qua e là per portare il progetto un po’ in giro.
- E magari da quella casa che avete preso uscirete con un album alla fine.
- Non lo so perché sono poco fiducioso nei confronti degli album. Scrivere un album è il mio più grande sogno, sì magari potrebbe uscire però ancora non lo “sento”.
- Perché secondo te ormai gli investimenti vanno fatti sui singoli?
- Sì perché secondo me se non c’è almeno un po’ di seguito grande non ha senso pubblicare della musica che non ascolterebbe nessuno, per quanto mi riguarda. Quindi i singoli sono il modo più veloce per comunicare, sono più facili da far girare, farsi conoscere per poi preparare qualcosa di più maturo, anche perché non è una questione diciamo prettamente di marketing, è che scrivere nuovi brani ci porta a migliorare ed essendo una band emergente forse non saremmo ancora pronti per un album.
Quel che emerge dall’intervista è la sensazione che gli Ÿnsanÿa, oltre ad essere validi musicisti, abbiano anche piena coscienza dei propri mezzi e vogliano crescere senza strafare per maturare come band e riuscire così a raggiungere quei traguardi importanti che auguriamo loro.
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