Nel prepararmi per l’incontro in occasione del loro live tutto esaurito al Blah Blah di Torino ho riascoltato per intero tutta la discografia dei Meganoidi. Inizialmente volevo rispettare l’ordine cronologico delle uscite, dal primo “Into the Darkness, Into the Moda” del 2003, famoso anche per quella “Supereroi” che, da semplice sfottò nei confronti della Polizia municipale, ha contribuito a far arrivare la band al successo di massa grazie al fatto di esser stata scelta come sigla dalla trasmissione “Le Iene”. Come detto, l’intenzione iniziale era di ripassare la discografia in ordine cronologico, ma poi il sottoscritto si è lasciato prendere dalla vampata di quei fulgidi ricordi che portavano irrimediabilmente in direzione “Zeta Reticoli”. La versione 2003 del pezzo vantava un attacco stilosissimo con una poderosa linea di basso in primo piano e l’ingresso della tromba quasi jazz di Luca Guercio. Impossibile resistere, quello è un brano davvero da loop tremendo sensation. Il verso “Conservo di nascosto sempre lo stesso smalto”, riascoltato oggi è un potente balsamico per il cuore, capace di infondere coraggio. Quel coraggio di graffiare ancora come un leone, anche se più vecchio e un po’ più stanco. Ma sempre indomito ed orgoglioso. La versione 2024 di Zeta Reticoli segna la prima collaborazione tra la band genovese e il noto rocker cuneese Cristiano Godano. Con disappunto occorre notare che quell’iconico intro basso-tromba è sparito a favore di un tappeto sonoro più semplice, quasi da ballatona. La voce di Godano si sposa, tuttavia, molto bene con quella di Davide Di Muzio e i due cantanti si rincorrono per tutto il brano alzando lentamente il livello fino ad arrivare alla buona esplosione finale. Fatta pace con Zeta Reticoli resta tutto il resto. I centri sociali di Genova, tanto per cominciare, quelle occupazioni che dettero ai Meganoidi i primi palchi su cui mettersi alla prova davanti a un vero pubblico. “Into the Darkness, Into the Moda” nasce proprio da lì, da quel sentirsi, in qualche modo, “obliqui” rispetto alla vita squadrata, altamente prevedibile, quieta, che la società oggi più che mai ci impone. Come hanno raccontato Luca Guercio e Riccardo Jacco Armeni, attuale bassista, durante l’intervista di strada fatta a Torino a gennaio 2025, il personaggio che dell’intro dell’album – quei 43 secondi in cui la band viene annunciata da un personaggio sghembo – non è un attore ma, ha precisato Jacco, si tratta invece del gestore di un negozio di alimentari ligure che vendeva tutti i giorni ai nostri patatine e altro carburante per creare musica. Mai intro fu più significativo, infatti dà praticamente, a parere dello scrivente, l’esatta cifra stilistica del resto del disco. Il successivo “Outside the Loop, Stupendo Sensation”, del 2003, è forse l’album più riuscito dell’intera produzione Meganoidi.
Dopo “Outside the Loop” per i Meganoidi è iniziata la fase introspettiva, un po’ meno gioiosa, quasi cupa nel terzo album del 2006, quel nonsense, quasi impossibile da pronunciare correttamente al primo colpo, che è “Granvanoeli”. Qui domina il colore nero, il petrolio citato in un brano, il muro del suono delle chitarre che rubano la scena alla tromba di Luca Guercio. L’ingresso nel gruppo, in quel periodo, del chitarrista Mattia Cominotto dà un boost quasi grunge al lavoro rendendolo imponente, granitico, ma anche un po’ monocorde. L’album successivo, uscito nel 2009, “Al posto del fuoco”, incontra i Marlene Kuntz circa all’altezza di “Aneta”, un bel misto che richiama alla mente anche quei C.S.I. che facevano “girare i sufi in tondo nello spazio”. In “Dighe” i Meganoidi aprono “dighe che non si aprono mai”, una sorta di galoppata a briglia sciolta nelle praterie del rock a cavallo tra Liguria e Piemonte, in cerca di quella cosa che si chiama Libertà e che pochi oggi conoscono, pur essendo convinti di essere liberi. La nona traccia stuzzica una curiosità che, in realtà, riguarda l’intera discografia della band genovese. Perché l’uso dell’inglese misto all’italiano abbiamo chiesto intervistandoli? Luca e Jacco hanno chiarito che non si tratta di un vezzo artistico o di una necessità metrica dettata dalla scrittura dei brani, ma piuttosto di una caratteristica che la band si è data anche per distinguersi dalla concorrenza. Bella mossa davvero, che ha consentito di vincere alcune poste importanti nella partita a poker con gli altri gruppi del rock indipendente italiano. Il successivo “Welcome in disagio”, nato nell’aprile del 2012, dà al gruppo un’impronta più punk, più da assalto frontale al sistema fin dall’apertura, affidata a “Ora esiste dopo non più”. Come si chiacchierava ancora nell’intervista, il mondodell’indie rock nella sua accezione migliore di rock sotterraneo, non emerso e, invero, nemmeno intenzionato a farlo, si sta sgretolando come un castello di anno in anno sempre più diroccato. In tutta Italia, infatti, sono pochi e per lo più concentrati solo nelle grandi città i locali che accolgono i concerti di artisti come i Meganoidi e i loro due ottimi gruppi spalla, ossia, in rigoroso ordine di apparizione sul palco del Blah Blah, gli On the moon e i Malati Immaginari. Ma queste sono altre storie di cui parleremo a parte.
Tornando a mettere a fuoco “Welcome in disagio” il secondo pezzo, “Luci dal porto”, porta nel titolo la provenienza quasi marinaresca del gruppo ligure. Ma, hanno detto Jacco e Luca, è musica molto distante da quel Fabrizio De Andrè, che di Genova fu il miglior cantore. “Delirio Experience” del febbraio 2018 già nel titolo suscita in questo recensore una certa simpatia con chi ha provato un’esperienza da delirio. Nell’opening track sentirsi cantare in faccia, dopo un intro quasi baustelliano da “Ultima notte felice del mondo” un verso come “quello che accade di là non l’hai vissuto” è un’esperienza per stomaci forti. Curiosità suscita poi il titolo del quarto brano in scaletta, “Fra 20 anni fa”, che si apre quasi alla “Helter Skelter” dal punto di vista chitarristico. Il lento in chiusura “Rimaniamo sempre qui” porta ancora in dote quella tromba che è presente in quasi tutti i pezzi migliori della produzione Meganoidi. La bella viene invitata a ballare e se ne arriva con una gonna rosa, come una fanciulla al party di fine anno in un teen movie sulla vita in un college americano anni 70, dalle parti di Grease e del drive in di Summer of 69 di Bryan Adams. Infine, nell’ultimo vero e proprio album finora pubblicato, quel "Mescla” del 2020, emerge prepotente l’ascolto dei mitici Tre Allegri Ragazzi Morti e, similmente alla band di Toffolo, come disegnatori estrosi i Meganoidi dipingono sul muro a chiare lettere ciò che vogliono e quello che sono. In fondo, tirando le somme, la musica della band genovese nel corso degli anni ha cambiato abiti, messo la brillantina nei capelli, si è fatta crescere la barba per poi tagliarla prima di esserne stufi e ha accumulato una buona dose di credibilità presso i fan. E allora riecco i Meganoidi, viva i Meganoidi.
CONSIGLIATO A CHI ASCOLTA: TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI, AVFTERHOURS,
MARLENE KUNTZ, IL GRUNGE, LO SKA.
VOTO COMPLESSIVO: 8/9.
Recensione a cura di Luca Stra
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