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domenica 29 novembre 2020

"IL PUNK NON MUORE MAI" - ALESSIA MASINI RACCONTA "SIAMO NATI DA SOLI, PUNK, ROCK E POLITICA IN ITALIA E GRAN BRETAGNA (1977-1984)" // INTERVISTA DI MAURIZIO CASTAGNA


La nascita e lo sviluppo della cultura punk in Italia e Gran Bretagna nel libro "Siamo nati da soli. Punk, rock e politica in Italia e Gran Bretagna" di Alessia Masini edito da Pacini e presente all’interno della collana di storia contemporanea “Le ragioni di Clio”. Ne abbiamo parlato con l'autrice.



Ciao Alessia e grazie per la disponibilità. Partiamo dalle origini del punk. Come si arriva a questa "rivoluzione" e soprattutto come questa sbarca in Italia in un periodo in cui non esisteva Internet e il telecomando non aveva alcuna ragione di esistere?

Non c'è un unico punto di origine del punk in Occidente ma comunemente, e in molte testimonianze di chi era punk alla fine degli anni '70, si indica il sound e l'energia degli Stooges di Detroit e dei Ramones di New York. Con la crisi economica, che si è abbattuta sull'Europa nel corso degli anni '70, i giovani delle classi lavoratrici britanniche avrebbero dato al punk quelle caratteristiche culturali e estetiche che conosciamo oggi e quella forza dirompente che lo avrebbe trasformato in un modello di riferimento di intere generazioni. In Italia il punk è arrivato nel 1977. Non esisteva Internet ma le reti di relazioni, i luoghi di aggregazione e di incontro dentro e fuori i movimenti sociali erano molto dinamiche. Tra queste reti c'erano anche i canali di informazione e di controinformazione ed editoria alternativa molto più attenti alle novità rispetto alle riviste “giovanili” mainstream come “Linus” o “Ciao 2001”. La prima rivista a parlare di punk in Italia fu infatti “Re Nudo”. L'impatto di massa del punk però sarebbe avvenuto tramite un programma TV, andato in onda su Rete Due (Rai 2) nell'ottobre del 1977 cioè: La moda e la musica punk di Odeon. Tutto quanto fa spettacolo.



In Italia qualsiasi movimento di protesta, specie in campo musicale, si caratterizza per una forte politicizzazione. Esiste una "scena punk" italiana e non apolitica?

Il punk in Italia nel 1977 è arrivato in un contesto di politicizzazione giovanile molto forte e questa è stata la sua prima impronta. Immediatamente, la scena italiana degli anni '80 si divise tra chi voleva fare del punk uno strumento di attivismo e chi invece uno strumento di rifiuto totale della politica. Ma sono convinta che affermare di non interessarsi alla politica sia già una presa di posizione politica, oggi come allora. Il punk, anche se non prende parola in prima persona o non si pone alla testa di una battaglia, ha sempre una visione critica del passato e del presente, del potere, della violenza, dei media e la esprime tramite la musica e lo stile di vita; per sua natura, poi, genera o partecipa a momenti di incontro e aggregazione come i concerti e raramente un concerto punk si svolge in un luogo tradizionale e istituzionale, quasi sempre nei club alternativi o centri sociali.

Quali sono le peculiarità del movimento punk in Italia e le differenze più grandi rispetto a quello è successo in Inghilterra?

Questa è una domandona a cui non so rispondere! Più che differenze ci sono tante somiglianze, reti, incontri che si sono dati fin dalla fine degli anni '70 tra questi due mondi, quando in molti e molte andavano a cercare il punk a Londra o leggevano voracemente le notizie sul punk dove possibile nel tentativo di “fare come in Inghilterra”. I simboli del punk britannico che circolavano tramite musica, TV e riviste assumevano dei significati in base alle diverse situazioni locali: quei simboli interagivano con una condizione materiale preesistente, cioè quella politica, sociale e culturale dell'Italia dell'epoca. Ma lo stesso discorso vale per tutti i paesi in Europa e nel resto del mondo dove il punk ha rappresentato uno strumento di rottura e di ribellione. Forse la differenza più grande tra il punk in Italia e in Gran Bretagna sta nell'orizzonte sociale e culturale di riferimento dei punk di allora, cioè nel fatto che la working class britannica non era la classe operaia italiana. Ma su questo tema si potrebbe scrivere un altro libro e c'è chi lo farebbe molto meglio di me.

Tra i capitoli del tuo libro leggo "svastiche e compagni". Di cosa si tratta?

In queste pagine cerco di indagare come e perché compaiono le svastiche tra i simboli della “prima onda”, poi di ricostruire il contesto dell'Inghilterra di fine anni '70, strozzata dalla crisi economica e sovraccarica di razzismo e neofascismo, cioè quel “the winter of our discontent” che ha preceduto l'epoca di Thatcher. I “compagni” sarebbero quelli del Rock Against Racism, cioè un movimento culturale nato dall'appello di alcuni attivisti socialisti inglesi rivolto ai musicisti di tutto il paese per combattere il razzismo attraverso la musica. Mi sono appassionata a questa storia, a questa forma di alleanza tra musica e politica, e mi piacerebbe approfondirla in futuro.


C'è qualcosa che nella documentazione per la realizzazione del libro ti ha colpito? Qualche aneddoto che non conoscevi e che magari ha cambiato la tua visione d'insieme del movimento punk?

Un articolo su New Musical Express del 1977 dove si parla degli scontri a Napoli per l'ingresso gratuito a un concerto. Era una pratica molto comune nei movimenti italiani dell'epoca, quella dell'“autoriduzione” per l'accesso alla cultura, e mi ha sorpresa leggerne in questa importante rivista inglese. In generale, la cosa più sorprendente è stata la facilità con cui ho trovato materiale inglese (come fanzine, riviste, volantini) archiviato nelle biblioteche e musei britannici, quindi facilmente accessibili, rispetto alla fatica per recuperare materiale del punk in Italia andando a scavare a casa dei protagonisti e e testimoni della prima onda.

Il fenomeno punk può essere visto come evoluzione del '68 o resta un fenomeno che nasce e vive senza radici lontane?

Il punk è figlio del '77 ma è un parente stretto del '68.

Il movimento punk si caratterizza anche per la forma e non solo per la sostanza. Come il punk ha influenzato l'arte e la moda oltre che la musica?

Immediatamente è diventato (forse è nato?) come fenomeno d'arte e di moda, non solo di musica. È quindi un fenomeno complesso e il punk stesso è un concetto amorfo. Però io mi occupo di storia dei movimenti e di popular culture, ci sono studiosi e studiose molto più ferrati di me sull'impatto del punk sulla moda e l'arte (es. M. Sklar, Punk Style, Bloomsbury Academic, Londra, 2014).

Il periodo storico del punk è indubbiamente quello analizzato nel tuo libro: 77-84. Quello che è venuto dopo e che è stato etichettato come punk è stato in realtà altro?

Secondo me il punk va storicizzato sempre, quello che è venuto dopo la fase che ho studiato non è meno punk del punk del 1977, risponde solo a una società, politica, cultura diversa, a influenze e dimensioni musicali e di produzione musicale molto cambiate.

I giovani oggi si avvicinano alle radici del punk? Trovi che quegli anni abbiano creato una sorta di "romanticismo" che poi non si è più ricreato?

Molti/e adolescenti di oggi se si imbattono nel punk lo fanno a partire da quello che circola sul web e sui social, ambienti che gli offrono tanto materiale tutto insieme, senza scansioni temporali e cronologie. Questa immensa e immediata disponibilità determina il loro incontro con tutta la musica presente sul web, prodotta nel nostro secolo e in quello precedente e capita che possano incappare nei Sex Pistols o nei Clash improvvisamente, come proposta di Spotify o di YouTube. Io (negli anni '90) ho ascoltato molti altri gruppi punk prima di sapere chi fossero i Sex Pistols, ascoltavo quello che mi passava mio fratello e poi un giorno non so come ho deciso di ritornare alle origini per curiosità. Oppure, il primo incontro dei miei amici con il punk da ragazzini è stato grazie ad alcuni concerti di band locali, magari a scuola. Ma la mia generazione è arrivata al punk dopo che già questo era sinonimo di hardcore e mentre il mainstream ci trasmetteva (bellissime) nuove onde di grunge. Alle nostre orecchie il punk del '77 suonava come vecchio “rock 'n' roll”. Chi ne ha fatto un romanzo, forse un po' “ortodosso”, sono soprattutto quelli che hanno vissuto il punk del 1977 da adolescenti e che oggi hanno ormai superato i 50-60 anni. Comprensibilissimo, visto che hanno avuto la fortuna di vedere questa cosa meravigliosa rivelarsi per la prima volta al mondo. In ogni caso, ai concerti punk oggi la media d'età è piuttosto alta!


Parliamo di te. Ho letto che ti occupi di radio e collabori con Rai Storia.

Con tre amici e amiche conduco un programma radiofonico di storia e musica che si chiama “Vanloon” e va in onda su Radio Città Fujiko di Bologna da più di 5 anni ormai. E da quasi 3 anni collaboro al programma di Rai Storia “Passato e Presente”. Sono un'insegnante di storia a scuola (precarissima) e mi occupo di didattica all'università di Bologna.

Il punk è morto? 

Il punk non muore mai.

Grazie della tua attenzione e per chiudere come possiamo acquistare il tuo libro e dove? 

Sì può ordinare in qualsiasi libreria, nei canali online o direttamente dal sito dell'editore Pacini: https://www.pacinieditore.it/prodotto/siamo-nati-da-soli-punk-rock-politica/ 



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