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giovedì 27 aprile 2017

"SENZA I CASINI NON SAREBBERO I RITMO TRIBALE" // REPORT, FOTO E VIDEO DI LJUBO UNGHERELLI SULLA REUNION IN DATA UNICA DEL 24-04-2017


Ecco il report di Ljubo Ungherelli sulla reunion in data unica dei Ritmo Tribale dello scorso 24 Aprile alla Centrale Rock Pub di Erba (Co).


TUTTO A POSTO, TUTTO COME SEMPRE
“Senza i casini, non sarebbero i Ritmo Tribale”. Il concerto è teoricamente già cominciato da un po’, ma è solo un infinito loop del giro iniziale di “2000” a intrattenere gli astanti. Problemi tecnici hanno ammutolito sin da subito la chitarra di Scaglia. Rioda, alla sua destra, pare già avere la vena pericolosamente intasata. Briegel, dal lato opposto della frontline, ostenta l’impellente necessità d’esser sostituito da qualche panchinaro del leggendario Verona scudettato. Dietro, Talia e Alex, bontà loro, in parte occultati rispettivamente da cappellino e occhiali da sole, si adeguano al clima di tregenda.
Più di cento minuti dopo. Il tripudio della folla al termine di un concerto memorabile, le mani alzate, le grida, il saluto finale a quella curiosa entità che prende il nome di Ritmo Tribale.
“Proud to commit commercial suicide”, recita il titolo di un disco dei Nailbomb. Slogan che potrebbe tranquillamente cucirsi addosso alla storia dei Ritmo Tribale. Il nuovo capitolo della predetta storia è andato in scena lo scorso 24 aprile. Di lunedì per giunta. In un paese nel comasco, Erba, lontano da tutto, finanche da sé stesso, e rinomato più che altro per un agghiacciante episodio di cronaca nera (Olindo e Rosa). 



Forte di un repertorio che ha segnato indelebilmente i destini del rock tricolore, e reduce l’anno scorso dalla ristampa in vinile di uno dei suoi lavori seminali, “Mantra”, promosso con giusto un paio d’interviste e nemmeno lo straccio di un live, il gruppo milanese pensa bene, per la propria rentrée concertistica, di proporre uno spettacolo basato sul loro disco di minor successo, quel canto del cigno di nome “Bahamas”, pubblicato nel 1999 tra il disinteresse generale dei vecchi fan e seguito da un breve tour che vedeva una band chiaramente scarica e demotivata, il cui ritiro dalle scene, pochi mesi più tardi, era un atto non proprio imponderabile.
Ecco, per chi ama i Ritmo Tribale (i quali, per inciso, sono il gruppo preferito di chi scrive), nulla di quanto detto sopra deve apparire sorprendente. Testardi e controcorrente fino all’autolesionismo. Forse è anche questo il loro bello. Benché spesso tendano a far incazzare persino i loro sostenitori meglio disposti.
Un manipolo di ardimentosi, qualche centinaio a dir tanto, si appressa nei paraggi del palco del(la?) Centrale Rock Pub e, risolto lo psicodramma iniziale, la serata prende quota. “Bahamas” è un disco bello ma impegnativo, specie per chi aveva in mente le sonorità dirompenti dei tribali di un tempo. Il repertorio è debitamente riveduto e corretto, spesso con divagazioni psichedeliche, intro e outro strumentali, ma anche analoghi break nel mezzo delle canzoni. Resta la profonda intensità di brani come “Musica”, “Dipendenza” e “Diamante”, per citarne alcuni. “Violento” vede uno Scaglia già copiosamente sudato scendere dal palco e suonare un lungo fraseggio introduttivo tra la folla che si apre come le acque del Mar Rosso al cospetto di Mosè. 


L’omonima “Bahamas” conclude dopo circa cinquanta minuti l’esperimento, invero un po’ tafazziano per quanto affascinante e ben riuscito (al netto delle magagne tecniche), e prepara il terreno alla comparsa di un gruppo completamente diverso, che dopo la pausa si ripresenta in scena per offrire una sporca dozzina di canzoni che fanno saltare gli argini e trasformano il concerto in un’esperienza quasi trascendente. Perlomeno per gli sventurati e bistrattati fan dei Ritmo Tribale (bistrattati spesso dai Ritmo Tribale medesimi), che possono infine scatenare le ugole, i muscoli e il cuore nell’autocelebrazione della grandezza di questi cinque Uomini.
“Il lupo” è la prima scintilla che infiamma la sala. Il grido “Figlio di puttana” si alza quasi liberatorio, prima che il cupo alternative rock di “Base Luna” catturi gli ultimi riottosi. “Ancora un anno, liquidata delicatamente, tutto a posto, tutto come sempre”, è il ritornello finale che forse può assumere un nuovo e meno desolante significato rispetto a quando fu concepito nel 1995.
Ultracinquantenni padri di famiglia, i Ritmo Tribale sembrano comunque avere ancora voglia di pestare e divertirsi. E far divertire. E pogare, con la doppietta “La mia religione”/”L’assoluto”, che rende bollente il pit. “Destinato ad illudersi”, refrain che ben rappresenta le disgrazie dei seguaci dei Ritmo.
E far battere a tempo le mani, in una routine che Scaglia bolla alla stregua di una tamarrata, nell’incipit del celeberrimo singolo “Sogna”.
“Oceano”, un altro dei favoriti dei fan, precede un’irruzione nel passato punk dei tribali: “Kosì dolce”, che spicca ancor più, incastrata com’è tra la summenzionata “Oceano” e “Amara”.
“E se deve finire con te finirà”, cantano tutti quanti su “Universo”. Invece non è ancora finita! Una trascinante versione di “Bocca chiusa”, il primo pezzo del primo disco dei Ritmo Tribale, regala un’ulteriore scarica di adrenalina ed emozioni.
A tal punto che il pubblico continua a inneggiare al rientro per il bis. Sono i soli Scaglia e Rioda, chitarre a tracolla, a risalire sul palco per il momento più toccante, la canzone–simbolo, quella “Uomini” che è pure assurta a titolo del doppio cd antologico pubblicato nel 2007 e del più recente libro biografico (ciao Elisa!). Difficile spiegare, difficile ricacciare indietro le lacrime. Tornano anche gli altri tre, parte “Circondato”, il sigillo a qualcosa che è stato molto più di un concerto rock.
Nel bene e nel male, i Ritmo Tribale non si smentiscono. Qualunque cosa gli riservi il futuro, hanno dimostrato quanta gioia sono tuttora in grado di dispensare agli sciagurati che, un lunedì sera, si sono diretti in quel di Erba per scrivere l’ennesima pagina di questa meravigliosa storia.


Video di Diomira Gattafoni

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