Ecco "I tipi che fanno strage di fica nel nostro ambiente", il nono capitolo di "Ultimo tour sulla Luna", il romanzo di Ljubo Ungherelli che potete leggere a capitoli sul blog di Riserva Indie ogni giovedì dal 4 Febbraio. Guy e Vicni, in arte 2 Dualità, continuano nel loro tour (finanziato tramite crowdfunding) e nella scoperta di loro stessi. Vi ricordo che tutti i capitoli pubblicati potete rileggerli sulla apposita Tab che trovate nella home page di questo blog.
Capitolo 9
I tipi che fanno strage di
fica nel nostro ambiente
Per
farsi perdonare la “scappatella”, aveva assunto il posto di guida per la
seconda volta di seguito. Il cielo era fuligginoso, il motore della Luna pure.
Al
risveglio, nessuno aveva fatto la minima allusione a quanto accaduto
nottetempo. Nonostante avessero dormito rattrappiti in uno spazio angusto,
erano di buonumore. Persino la scontrosa Vicni di poche ore addietro, piegatasi
di malavoglia ad assecondare le voglie di Guy, appariva distesa in volto, e
aveva conversato a lungo con
Slisković666 quando, quasi all’ora di pranzo,
s’erano ridestati. Lei, in realtà, non aveva idea di cosa fosse capitato sotto
le coperte tra i due maschi, pur essendo certa che Guy fosse riuscito a
soddisfare in qualche modo i propri istinti. Però l’essersi svegliata riposata
e senza alcun sintomo di malessere aveva obliato ogni fastidio.
Congedato il fan, tanto felice d’aver
ricevuto quell’ingannevole souvenir notturno da offrirgli la colazione e
lasciarli ripartire senza ammorbarli con ulteriori richieste, 2 Dualità si
ritrovarono di nuovo per strada.
“Tesoro, mica avrai lasciato lo smartphone a casa del nostro gentile
ospite?”, domandò Guy, sbirciando sulla destra e vedendo la ragazza,
infagottata in un maglione da badante moldava e col volto nascosto dagli enormi
occhiali da sole alla Bono Vox epoca “Achtung baby”, scrutare il nulla dal
finestrino.
“Eh? Dove?”, si riscosse lei. Presa da
un’improvvisa isteria confinante col panico, si avventò sulla borsetta, rovistò
con l’istinto tattile di un cieco che legge il braille e dopo pochi secondi estrasse l’oggetto del desiderio.
“Eccolo, cazzo. Perché mi fai prendere questi spaventi, Guy?”
“Semplicemente mi faceva strano non
vedertelo in mano da quando ci siamo svegliati. Eravamo sempre in tempo a
tornare indietro a recuperarlo.”
“E sì. Guarda che alla luce del sole,
sarà molto più difficile. Non cercare scuse per rituffarti sulla tua preda.
Piuttosto: ma stanotte?”
“Radicale distruttivo!”, proclamò Guy.
“E devo ancora finire di ringraziarti per essere stata tanto preziosa in
quest’occasione.”
“Va beh, che potevo fare? Mica potevo
boicottarti e costringerti ad andare all’albergo. Ormai eravamo lì…”
“Non hai capito, stellina. Il tuo assist
è stato fondamentale per la piena riuscita del mio safari notturno!”
E le spiegò gli eventi succedutisi
mentre lei dormiva. Vicni rabbrividì. Però era contenta per l’exploit del suo adorato socio.
D’altronde, condividevano quel segreto, represso per meglio conciliare le
istanze moralistiche imperanti nella scena. Inutile illudersi che non fosse
così: l’omosessualità era ancora un marchio d’infamia in Italia. Con una
carriera musicale in rampa di lancio, si erano detti che era meglio non uscire
allo scoperto.
“Novità?”, disse Guy, notando la
ricomparsa dello smartphone di Vicni.
“Indie Italie ancora non ha pubblicato
nulla. Quel pezzente laido prima di mandare online la nostra intervista ci farà
rosolare sullo spiedo. Vediamo Instagram, gli hashtag… Niente. YouTube… Zero. Twitter sulla fiducia non lo
controllo nemmeno, aggiorno più tardi lo status e fine. Facebook… Tre nuovi mi piace sulla pagina.”
“Successone!”
“Commenti
vari con complimenti sotto la nostra foto seduti sul palco del Bencivenga,
soprattutto di gente che non è venuta
al concerto. Ah, ecco: un tipo, o una tipa, non si capisce né dal nome né
dall’immagine profilo, ci ha postato sulla pagina quattro foto di noi durante
il concerto. Di te durante il concerto, a dire il vero.”
“Metti
mi piace su tutt’e quattro!”
“E
il cuoricino”, aggiunse Vicni. “Nell’ultima foto s’intravede una mia bacchetta.
Mi taggo?”
“Sai
bellezza, c’è una sola cosa che mi dà fastidio in questo tour che di per sé è
impensabile persino ora che siamo praticamente a metà.”
“Il
concerto più importante siamo costretti a farlo a Roma”, indovinò lei.
“Che
schifo. Perché non vengono seppelliti tutti da un’immensa colata di merda?
Gentaccia viscida che ti guarda dall’alto in basso. Non ci libereremo mai delle
loro facce da fessi, della loro arroganza, della loro ignoranza da coatti, dei
loro immondi maneggi, della loro violenza camuffata da goliardia…”
“…delle
loro cazzo di battute omofobe…”, aggiunse Vicni.
“Sono
la razza più ignobile che esista”, riprese a infierire Guy, irrorato di
autentico disgusto nelle sue parole. “E quel che peggio, comandano da tutte le
parti. Hanno mandato in cancrena ogni cosa bella in Italia. E stasera vado lì e
sono costretto a essere tutto sorrisi e amicizia con quei cavernicoli da
osteria!”
Nemmeno
il contegno sempre benevolo e accomodante di Guy resisteva sotto la spinta
dell’odio che entrambi provavano verso Roma, i romani e la romanità. Ritenevano
che tutta la feccia sparsasi nel mondo, e più nel dettaglio nel loro mondo, fosse originata da lì. Dal
ventre infetto di quella sudicia lupa che aveva appestato il pianeta
riempiendolo coi romani.
Il
loro livore si spostò quindi di poco, andandosi a focalizzare sul frontman del
gruppo cui avrebbero fatto da spalla quella sera.
“Lo
spacciano per un gran sex symbol”, disse Guy, sempre in tono sprezzante. “Dalle
foto e dai video, mi pare più che altro un cinghiale.”
“A me sembra Ricky Memphis”, osservò
Vicni, “hai presente?”
“Come no. La quintessenza del romanaccio
cine-televisivo. In effetti in qualcosa ci somiglia. Che schifo…”, ripeté con
ripugnanza.
“Giusto un po’ meno gonfio”, proseguì
lei. “Insomma, il classico burino che piace alle femmine.”
“Infatti. Quello che non mi spiego,
però, è come possa piacere alle femmine che seguono l’indie. I tipi che fanno
strage di fica nel nostro ambiente sono completamente diversi. Sono più…”
“Sono più come te, eh?”, lo interruppe
Vicni. “T’ho beccato! Altro che l’odio per i romani. La tua è invidia, caro il
mio Guy!”
“Sciocchina”, ribatté Guy, affettando
esageratamente l’eloquio alla maniera dello stereotipo del gay effeminato.
“Dicevo che sono più del genere universitario fuoricorso fancazzista, lo sai.
Poco sangue nelle vene, quella è la chiave. Io sono tutt’altra tipologia di
maschio. Che per nostra fortuna è comunque apprezzata dalle tipe. Invece, quell’altro…”
“Sì, sì, colpito e affondato!”, insisté
lei, divertendosi a punzecchiarlo.
“Che poi”, riprese Guy, imponendosi di
non sputare più veleno sui romanacci, almeno per una decina di minuti, “tutta la
faccenda di me cantante–imbroccatore etero subirebbe un altolà non appena
decidessimo di dire la verità e chiudere con la pantomima dei White Stripes
italiani, ex mariti, ex mogli, ex fratelli… Passerei in un nanosecondo da
seduttore incallito a ominide col fascino di una sedia da campeggio!”
“Perché non facciamo questo ultimo tour
sulla Luna”, propose a bruciapelo Vicni, “e quando abbiamo finito, riveliamo a
tutti chi siamo realmente?”
“Tesoro, non dici mica sul serio,
vero?”, le domandò Guy, allarmato da quell’uscita perentoria. “E poi? E 2
Dualità? Smettiamo proprio ora che incominciavo a divertirmi?”
“Siamo in giro ininterrottamente da
quattro anni”, ribatté lei con un tono fattosi stanco, come accusando d’un
tratto il peso di quell’arco temporale. “Due dischi, un ep e quattro singoli
digitali, trenta-quaranta concerti l’anno… Magari ci prendiamo una pausa, che
so, un anno o giù di lì, dove ognuno di noi avrà tempo per fare le sue cose.”
“Ma quali
cose? Le mie cose sono le nostre. Sono il gruppo, tutte le mie cose ruotano
intorno a questo, a noi due. Credevo fosse così anche per te.”
“Lo è. Proprio per questo te ne sto
parlando. Non abbiamo nulla al di fuori di questo progetto. E non so se sia la
cosa migliore.”
Guy iniziava a essere in difficoltà nel
guidare, ragionare, ascoltare e parlare allo stesso tempo. Dato che non poteva
accostare la Luna nella corsia d’emergenza, e zittirsi gli avrebbe oltremodo
appesantito il cuore, smise d’ascoltare e di ragionare e riprese a parlare
secondo il suo filo conduttore.
“E quando torneremo in pista, se torneremo, si saranno tutti
dimenticati di noi”, prese a lamentarsi, immalinconito dalla piega inattesa
data da colei che reputava la sua inseparabile metà musicale.
“Ma soprattutto, si saranno dimenticati
delle rivelazioni sulla nostra relazione e sulla nostra sessualità e non avremo
perso credito presso fan e stampa”, cercò di sdrammatizzare Vicni.
Guy
non trovò parole adatte per proseguire. Cercò di parlar d’altro, coinvolgendo
anche Vicni come se nulla fosse. Le chiese di rifargli il punto della
situazione sui finanziatori del crowdfunding
che avevano dato conferma della loro presenza quella sera. Da principio,
faticava ad assimilare il senso delle risposte della ragazza. Poi fu più
presente a sé stesso.
Pian
piano si rianimò. Recuperò un certo spirito combattivo con l’approssimarsi
dell’uscita dall’autostrada e il conseguente ingresso nel mefitico grande
raccordo anulare. Inveire contro quei bastardi aveva un effetto catartico. Al
primo imbottigliamento nel traffico capitolino somigliava nuovamente al Guy di
sempre.
Testo di Ljubo Ungherelli
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