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giovedì 3 marzo 2016

ULTIMO TOUR SULLA LUNA// CAPITOLO 5: GRIDAVA AL CULTO DELL'OSCURITÀ - UN ROMANZO DI LJUBO UNGHERELLI


Ecco "Gridava al culto dell'oscurità", il quinto capitolo di "Ultimo tour sulla Luna", il romanzo di Ljubo Ungherelli pubblicato in esclusiva sul blog di Riserva Indie ogni Giovedì a partire dallo scorso 4 Febbraio. Vi ricordo che potete trovare tutti i capitoli pubblicati nel link dedicato sulla nostra homepage. Continuano i concerti di Guy e Vicni che fanno tappa al Down By Law di Pisa...


Capitolo 5
Gridava al culto dell’oscurità

Il Down By Law di Madonna dell’Acqua, un paesino sperduto nei dintorni di Pisa, era il classico posto che più lo cerchi, meno riesci a trovarlo. Invisibile dalla strada, ci si arrivava prendendo una viuzza sterrata che pareva portare a un terreno agricolo, mentre finiva davanti all’edificio solitario che era la nostra destinazione. Non male come scenario del nostro secondo concerto. Con gran sorpresa, dato che non avevamo mai suonato da quelle parti, Pisa era stata tra le zone più votate dai nostri fan per essere inserita nel tour sulla Luna. E infatti, al momento di trovare la location, c’eravamo resi conto del perché non avessimo mai suonato da quelle parti: le situazioni adatte erano pochissime.
Il mio amuleto portafortuna, il mio fratellino Guy scese dalla Luna saltellando tutto contento. Era un contrasto buffo, pareva un bambino appena sbarcato al parco divertimenti, piuttosto che un ragazzo indiscutibilmente maturo arrivato a suonare in uno scenario lugubre a dir poco.
Fo-to! Fo-to!”, cominciò a canticchiare, dato che ancora non avevo ordinato l’autoscatto da condividere sui social network come primo promemoria del concerto che avremmo fatto di lì a poche ore.
“Troppo buio qui. Facciamone una dentro. Sperando ci siano delle luci. Vista da fuori pare una casa disabitata da secoli.”
Se da fuori esprimeva tetraggine, l’interno del Down By Law gridava al culto dell’oscurità. La stanza d’ingresso aveva i muri color rosso sangue. In un angolo, un unico lume diffondeva una luce fioca, incastonato in una specie di tabernacolo profano, incorniciato d’oro e delimitato da due statuette che raffiguravano delle streghe o comunque delle creature fantasy maligne. Iniziavo a pensare che, nel bene e nel male, ci trovavamo in un locale fuori dagli schemi triti e asettici dell’indie.


“Ricorda il nostro logo”, suggerì Guy, avvicinandosi alla luminaria. “Le streghe al posto dei gatti, la luce dove c’è il nome…”
“Il top sarebbe sradicarlo e metterlo stasera sul palco!”
“Buonasera”, c’interruppe una voce maschile proveniente dalle nostre spalle. L’uomo appena entrato era meno caratteristico del posto di cui ci disse essere il capo. Anzi, più che un impiegato del catasto non avrebbe potuto apparire. Era tozzo, col cavallo basso e il torace sformato. Calvo, con pochi capelli grigi intorno alle orecchie e sopra il collo. Non si faceva la barba da qualche giorno, a giudicare dall’ispida peluria bianca che gli era cresciuta sul viso. Una quarantina d’anni portata maluccio. Aveva un odore strano, pungente, e parlava mangiandosi le parole, piegando la bocca verso destra come in un tic.
Seguimmo Lamporecchioni oltre la porta sistemata perpendicolare a sinistra rispetto a quella donde eravamo entrati. Facemmo qualche metro in un cunicolo completamente buio prima d’entrare in una nuova stanza, illuminata con dei neon molto potenti, simili a luci d’emergenza. C’erano tavolini, sedie e divani, tutto in nero. Sui divani erano sedute quattro ragazze, scosciate e vestite provocanti. Avevano poggiato borsette, pacchetti di sigarette e telefoni sui tavolini. Non calcolarono nessuno di noi tre. Guy, che camminava dietro il gestore e davanti a me, si voltò e alzò il sopracciglio. Non capii se fosse un verso ironico, meravigliato o di preoccupazione.
“Per quella porta là in fondo si sale di sopra”, ci spiegò Lamporecchioni, indicando un passaggio fatto con una volta in muratura del tutto stridente col design moderno del salotto del Down By Law. “Potete usare la vostra camera come camerino perché un camerino vero non c’è. Il bagno è sul piano, e durante la serata lo può usare anche il personale.”
“Grazie, andiamo subito a prendere la nostra roba in furgone, la portiamo su e poi iniziamo a montare il palco”, disse Guy, ordinando il dietrofront.
Lasciando aperta la portiera, si sedette sul bordo del posto del conducente, imitando la posa di una delle ragazze che c’erano nella stanza. Gambe accavallate, testa reclinata di tre quarti all’indietro, mani intrecciate, sguardo enigmatico e lingua che andava avanti e indietro lungo le labbra.
“Escort d’alto bordo?”, gli domandai.
“Alto non direi proprio. Avranno una tariffa standard. Il che comunque significa che stasera guadagneranno più di qualunque gruppo indie in un mese di concerti ogni venerdì e sabato.”
“Ma…”, non mi venne nulla da aggiungere. Lui capì e tradusse.
“Cosa ci fanno qui? Probabilmente l’ominide vuole unire l’utile al dilettevole. Anche se non sembra, è un appassionato di club culture e tendenze musicali alternative, che però non gli garantiscono entrate sufficienti, sicché ha messo su un giro di troie per arrotondare e tenere alto il vessillo dei concerti e delle discoteche più emancipate!”
“A me sembra più un pappone che usa il locale e la musica come copertura per la sua attività principale.”
“Sei sempre la solita malpensante. Quello è un insospettabile cultore di new wave, techno pop, dub, e poi EDM, EBM, CGIL, ANAS, AIDS… Le ragazze fanno parte del suo piano di rilancio culturale. Ed io sono orgoglioso di contribuire a questo rilancio! Guarda, ora aggiorno il mio status su Facebook: ‘Stasera 2 Dualità in concerto al Down By Law di Madonna dell’Acqua. Seconda data del nostro tour sulla Luna. E chi non viene, ha sicuramente più possibilità d’andare in bianco rispetto a chi viene!’ Quello là si merita un monumento nella piazza del paese!”


“Quello là entro fine serata cercherà di strofinarmi le palle sulla batteria, per vedere se tra un colpo e l’altro avanza qualcosa pure per lui, altro che.”
“Se ci prova, gli strofino io qualcosa su quel muso di ciuco”, s’incupì all’improvviso con tutta la serietà che gli riusciva di racimolare.
“Guy, non sei credibile come maschio possessivo. Torna a sederti nella posa da escort.”
“A proposito di escort: pensa che bello, stanotte dormiremo stretti stretti in un romantico letto a baldacchino dove di solito i più lerci puttanieri si sfogano con quelle valchirie del sesso a pagamento che il buon Lamporecchioni gli mette a disposizione!”
“Io non dormivo stretta stretta nemmeno coi peluche da bambina, Guy.”
“E non a caso sei diventata quel che sei diventata…”
Sbrigammo il check abbastanza agili, tanto che eravamo una ventina di minuti in anticipo sull’orario previsto per la cena. Eravamo quindi liberi fino al momento del concerto. Liberi al punto che, nemmeno il tempo di bere una cosa al bar, mi voltai e vidi che Guy era stato abbordato da una delle lavoratrici del Down By Law.
Mi appoggiai al bancone per seguire la scena. Guy era troppo preso nella sua parte di ambasciatore di 2 Dualità per liquidarla. Quando suonavamo in giro, cercava di prestare attenzione a qualunque persona lo approcciasse. Raccontava storie, s’interessava dei suoi interlocutori, faceva domande, e sorrideva di continuo. E del resto, non aveva motivo di star lì in attesa che lei gli proponesse le sue prestazioni. Decisi dunque d’entrare in azione. Li raggiunsi facendo un largo giro, fino a mettere una mano sulla spalla di Guy.
“Il capo dice che vuol parlare d’affari con te. Ho provato a spiegargli che in quanto più anziana, nel gruppo sono io che porto i pantaloni, ma ha detto che lui con le donne di queste faccende non ci parla. Dice che gli affari è roba da uomini, e che le donne servono per altri scopi”, raccontai strategicamente.
“Vado”, obbedì lui, e sparì in fretta dalla zona delle operazioni. Ci capivamo al volo su certe cose. Quella invece era rimasta lì interdetta. La bloccai prima che avesse modo di ritirarsi.
“Piacere, Vicni”, mi presentai dandole la mano.
“Vicky?”
No. Vicni. E tu come ti chiami?”
Capii che si chiamava Andrea. Andrea De Accm, o qualcosa del genere. Era una stangona di un metro e ottanta più tacchi. Fisico da fotomodella insomma. Il look invece era più consono al marciapiede che alla passerella. Un top laminato in argento, minigonna con cintura ornata di perline taroccate e stivaloni che le arrivavano al polpaccio. In testa, una parrucca esageratamente posticcia, una lunghissima cascata di capelli biondi appartenuti a chissà chi. Aveva un brillantino all’ombelico, al centro di una pancia più che piatta, seppure a giudicare dall’alito non disdegnasse l’alcol.
“Sei dell’est?”, le domandai ancora.
“Ucraina”, dopo di che aggiunse una parola incomprensibile che doveva essere il nome della città da cui proveniva.
Le feci qualche altra domanda. Scoprii che aveva ventidue anni ed era in Italia da tre. Che abitava in paese insieme alle altre ragazze del Down By Law, dividendosi un appartamento di proprietà di Lamporecchioni, che tra l’affitto e la percentuale che s’intascava sui loro servigi al locale, le sfruttava per benino. Ad Andrea De Accm quella vita andava a genio perché la considerava un grosso miglioramento rispetto a come se la passava in Ucraina. Durante la giornata aveva un po’ di tempo libero e poteva andare a fare shopping a Pisa o a volte a Firenze, oppure al mare.
“È bello il mare. E quando vai in spiaggia ti togli tutto?”
“No!”, sbottò lei, come l’avessi svegliata di soprassalto. “Con costume. Con costume bagno.”
“Certo. Sarai sicuramente uno schianto anche in costume. Gli uomini ti faranno mille complimenti.”
“Sì”, concesse lei, restando sulla difensiva. “Uomini passano e guardano. E vengono qua, tanti. E fanno complimenti.”
“E le donne? Non vengono a dirti quanto sei bella?”
“No. Donne non lo dicono.”
“Le donne sono invidiose di te, questa è la verità. Ti vedono come una minaccia, una loro nemica. Hanno paura che i loro uomini non le guardino più dopo che hanno visto te. Per questo sei segregata qui dentro. Gli uomini si godono la tua bellezza e tornano dalle loro donne facendo finta di nulla. È nobile da parte tua dare un po’ di gioia a questa gente triste, e farlo in segreto così che nessuno passi dei guai, no?”
Non rispose.
“Sei mai stata con una donna?”
Di sicuro non si aspettava avance così dirette. La sua aggressività di adescatrice si era del tutto sgonfiata. Peccato che da me non avrebbe ricevuto un centesimo per fare sesso, e anche se avesse accettato di appartarsi, c’era il rischio che Lamporecchioni non prendesse con sportività quella distrazione dal lavoro. L’arrivo della cena in tavola mi aiutò a spegnere l’interruttore e mettere da parte quei pensieri. Mi allontanai a malincuore da Andrea De Accm per andarmi a sedere accanto a Guy.
Le ore trascorsero lentamente, d’altronde non avremmo iniziato a suonare prima di mezzanotte. L’ultima mezzora ci ritirammo di sopra per prepararci.
“Nulla di fatto con la zozzona finta bionda?”, mi domandò Guy mentre s’infilava la sua divisa da concerto: a parte il cappello, quella sera era in total black. Il suo profilo su Facebook era pieno di foto in cui era taggato da ragazzine che l’avevano immortalato mentre cantava, o si facevano il selfie con lui dopo il concerto. Il suo segreto era la consapevolezza del suo fascino, la sicurezza di riuscire a piacere agli altri. Io quella consapevolezza non ce l’avevo mai avuta. Mi sembrava sempre ci fosse qualcosa che non andava in me.
“Le ho proposto di mulinarle la lingua in mezzo alle gambe meglio di una mazza di venti centimetri. E soprattutto meglio dei cazzettini flaccidi dei suoi clienti. Ma giustamente voleva esser pagata e ci siamo lasciate da amiche.”
“Gran professionista, massimo rispetto”, declamò lui col tono aulico che gli piaceva usare quando diceva frasi fatte.
Anch’io, come d’altronde quasi sempre, ero per lo più in nero. A parte la camicia bianca, sopra avevo un gilet aperto e, sotto, gonnellino e collant. Tacco alto e makeup pure quelli di prassi.
Scendemmo le scale mano nella mano; nella semioscurità della sala concerti del Down By Law avanzammo rapidamente, e senza dare a nessuno il tempo di identificarci apparimmo sul palco. La musica di sottofondo si ammutolì e dopo qualche istante di assestamento attaccammo a suonare.



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