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sabato 27 agosto 2016

PIOTTA, I TALENT E TANTO ALTRO // ECCO L'INTERVISTA DI FLAVIA A TOMMASO ZANELLO PRIMA DEL LIVE DI MASSA


Ecco l'intervista che Tommaso Zanello ha concesso a Riserva Indie in occasione del suo live al Theremin di Massa lo scorso 14 Novembre.



Il tuo nuovo disco è un po’ un’accusa contro i talent, che sembrano essere l’unica strada per arrivare al successo. Tu hai iniziato la carriera molti anni fa, quando i talent non c’erano ancora, come vivi questi cambiamenti? 
 Beh comunque Amici è del 2000, non è che ho cominciato tanto dopo, però sicuramente non c’erano, ma c’erano i centri sociali… Sarebbe come paragonare la cioccolata con altro. In realtà potrebbe essere vista come un’accusa – e in parte lo è – ma in parte come una difesa, nel senso che è preponderante la loro presenza, ma soprattutto quello che mi dà sempre più fastidio è che mentre prima era relegata al pop, che ci può anche stare perché ha le sue sporche regole fatte a tavolino, negli anni si è andato ad allargare e a succhiare energie e potenziali talenti creativi dal rock, un po’ dal reggae, adesso anche dal rap e quindi ho pensato che invece fosse giusto prendere posizione in maniera netta, esprimere un giudizio e mettere i puntini sulle i. Sono tutti generi che secondo me possono passare in televisione, finire in televisione, ma mai nascere in televisione, perché ciò è alternativo, antagonista, che porta tanto contenuto o un modo di approcciarsi al sistema musica in maniera originale e fresca, perché magari fatta da persone che hanno quattordici, quindici anni, e hanno bisogno di un percorso lungo, di esperienze da fare però con la dovuta calma in modo che puoi divertirti, portare avanti la tua passione, testare le tue capacità, magari sei anche uno particolarmente timido e riservato e hai bisogno di spazi e di tempistiche che non sono quelle di un faro puntato in faccia e dello zoom di te che piangi, cioè quella lacrima ce l’hai pure però ce l’avrai nel tuo privato e diventa una canzone che emotivamente comunica tanto. È talmente forte invece la loro ingerenza, talmente falsa la loro mistificazione nel dire alle nuove generazioni “o venite da noi o non potrete mai avere successo” che ho pensato che invece era giusto dire no! non è così! è una falsità assoluta. E detto da uno che viene dagli anni ’90, si potrebbe dire “beh grazie, tu non potevi.” No perché Lo Stato Sociale non viene dagli anni ’90 e comunque ha un successo incredibile, i Kutso non vengono dagli anni ’90 e comunque hanno fatto un loro percorso, anche con cose nazionalpopolari come Sanremo, però in forma indipendente, anche Il Muro del canto che è un gruppo di Roma da paura, che seppur con fatica semina tanto e così potrei dirlo per tanti generi e tanti nomi.



Hai citato nomi con cui hai anche collaborato, le collaborazioni nascono anche tra generi completamente diversi, come appunto tu e Lo Stato Sociale, come nascono queste collaborazioni “particolari”?

Non c’è una metodologia unica, ognuno nasce con un percorso tutto suo, però ci sono degli elementi che ricorrono. Tutti i featuring che io faccio nei dischi altrui, o che ospito nei dischi miei, hanno come elemento comune che sono privi di pagamenti economici, che non è un dettaglio da poco, anzi, farlo con contratti, percentuali e compagnia potrebbe nascondere una non stima umana e artistica ma puro interesse commerciale, che non è che non si debba fare, in altri mondi e in altri reparti vige, perché prendi due icone pop, le metti insieme, si parlano i loro entourage e management e loro manco si vedranno mai. Invece in questo caso sono proprio passioni che nascono da percorsi diversi, anche età diverse a volte, però con medesime attitudini, medesime passioni, anche quando si incontrano generi apparentemente diversi, poi una cosa bella della musica è che invece non ha confini, è degenerata per natura, secondo me, è la cosa più anarchica che c’è, riesce a fondere percorsi tanto differenti e a tracciarne, fosse anche per un solo momento, solo per quattro minuti, un binario in cui si fa un pezzo di strada assieme, perché appunto c’è un substrato comune. Non tutto deve essere uguale, però comunque c’è di fondo un approccio comune che è molto vero, è molto umano, non è di plastica, non è televisivo, non è dell’apparire, ma invece è dell’essere.



Parlando del Muro del canto, che è uno dei miei gruppi preferiti...

Da paura! Sono contentissimo che tu lo dica, stando a Carrara, perché come tanti gruppi romani da quando non ci sono più le grandi etichette a Roma hanno difficoltà a uscire in maniera forte da Roma o avere lo stesso seguito che hanno a Roma, però piano piano ci stanno riuscendo e sono contento di poter contribuire a fare da passaparola anche io.


…Dicevamo, nella canzone che hai fatto con loro che è Sette vizi capitale, secondo me la parte più bella sono le ultime strofe in cui dite “Poi alzi gli occhi, vedi Roma, e chi vive davvero questa città ritrova il senso di tutto e non se ne vuole più andare” quindi, con tutto quel che succede a Roma, che c’è stato a Parigi ieri, insomma, c’è la luce in fondo al tunnel? Sei un ottimista?

Nello specifico queste parole che citi le ha scritte Alessandro del Muro del canto. Detto questo, avendo fatto il pezzo insieme, ti posso dire senza ombra di dubbio che siamo, sia io che il Muro del canto, dei combattenti nati, per cui riconosciamo le difficoltà di Roma, ne prendiamo atto, però non facciamo né i vaghi né ci asteniamo dalla battaglia, cerchiamo di rimboccarci le maniche e sporcarci anche le mani se serve, logicamente ognuno nel suo campo, il nostro è quello musicale, collegato alle note o alle parole, quindi raccontiamo, come fosse una sorta di ritratto cinematografico, la Roma di oggi e cerchiamo di essere utili ad alcune cause sociali, come il MAAM che è questo posto occupato in cui abbiamo girato il videoclip, una ex fabbrica abbandonata di salumi Fiorucci abitata, e poi, per evitare lo sgombero, sono stati chiamati a raccolta 250 artisti, per un totale di 400 opere, da tutta Europa e Nord Africa, di non solo street art ma c’è molta street art, proprio per far sì che sia una sorta di barricata dell’arte, cioè non violenta ma – visto appunto anche i tempi che raccontavi di Parigi – invece in forma artistica e creativa poter contribuire a lasciare un segno netto che non sia solo artistico, ma anche sociale e politico. E noi lo facciamo con la musica.
 

Anche la tua etichetta promuove questa ottica…

La mia etichetta promuove questo, sì, e oltre ai miei dischi, produce anche ad esempio – e ti dico le cose più recenti perché sono anche tanti anni e ci sono parecchi artisti più noti come i Cor Veleno, Rancore, Truceboys, Brusco – gli Inna cantina, che fanno reggae e sono molto seguiti e riescono a suonare in buona parte d’Italia e anche un po’ fuori e continuano a macinare numeri importanti, per il rap Debbit, che è un ragazzo di Roma che fa freestyle e che ha appena vinto lo spit live di Mtv, quindi delle cose anche un po’ più mainstream, anche se è una vera e propria battle di freestyle, uscirà il disco a gennaio. Oppure i Black Beat Movement, un gruppo di Milano di cui uscirà il disco a gennaio che fa funk soul tutto suonato, sono musicisti da paura con Naima che canta. Per il rock invece Le Mura che è un power trio romano che segue Emiliano, il mio socio dell’etichetta e come io nel mio disco, nel mio percorso, cerco di fondere le cose che più amo, per cui il rap con cui ho cominciato, il reggae che ho sempre ascoltato e che ho passato come dj e prodotto, fino al rock, così anche come etichetta cerco di dare spazio a questi tre filoni, in particolare poi logicamente al rap e al raggae perché sono i generi che più conosco e che più frequento come palchi quindi abbiamo tanti ragazzi giovani che ti portano la pennetta usb o ti mandano i link per ascoltare e vedere le loro cose.



E invece il fatto che, appunto, ci sono tanti ragazzini, molto giovani che si affacciano anche a questa realtà, come vedi l’attitudine a questo genere di musica, perché ci sono stati molti divismi in un certo modo di proporsi…

La mia idea è che, come nella vita, ogni cosa dovrebbe essere proporzionata alla sua età. Dei periodi della nostra vita consentono di fare delle cose in base alla visione che uno ha, per cui uno non pretende che un bambino di dieci anni abbia la visione di un quarantenne o un quarantenne una di un settantenne, se ancora fa musica, quindi alcuni casi sono patologici, tipo un trenta-quarantenne che ancora fa testi parlando di quanto scopa, del privé - e sarebbe facile capire di chi stiamo parlando - però è normale che lo faccia uno di quattordici anni perché è uno ancora un po’ insicuro ed è un modo per dire “sto crescendo, mi sto facendo uomo, mamma senti che testi scrivo e che vita faccio!”, anche se in realtà è un po’ più di fantasia che reale. Io ad esempio ho iniziato ad ascoltare rap a dodici-tredici anni ascoltando Jovanotti dei primi tempi, che non è certo il Lorenzo di oggi, come io non sono il Tommaso di ieri, ma questo non significa una battaglia del Tommaso quarantenne contro il Tommaso dodicenne. Era giusto per quei dodici anni, che io magari mettessi il collanone cercando di scimmiottare un po’ i miei idoli, però sono stati idoli che mi sono stati utili per capire che il rap non solo mi piaceva ma era anche un modo per esprimermi, poi iniziai a esprimermi a diciotto-vent’anni con dei testi più ironici, più a cazzeggio, perché sono anche figli di quell’età per poi, via via, evolvermi come persona e mettere questa evoluzione nei testi, non fare finta di fare sempre l’eterno ventenne, perché magari una cosa ha fatto successo e fare cassa sempre con quella perché poi diventa macchiettistico, invece mettere tu stesso per primo un punto e dire “ok ragazzi questa è una cosa che ho fatto ci tengo sono affezionato la faccio anche dal vivo, però poi il mio percorso va avanti anche musicalmente e nei contenuti ed è questo, ti piace di più sono contento, ti piace meno me ne farò una ragione, non ti piace lo capirai tra cinque anni perché nel frattempo anche tu cresci”, tante persone vanno e vengono, l’importante è che tu sai qual è il tuo obiettivo e lo persegui senza pietà, proprio avanti tutta. La musica, comunque, non ha un decalogo di regole giuste o sbagliate, l’importante è che tu sei il primo a essere orgoglioso di quello che stai facendo in quel momento, poi la gente in qualche modo questa cosa gli arriva. Vedo tante persone che non mi seguivano che invece adesso mi seguono con molto piacere, viceversa qualcuno che mi seguiva a cui le cose più dure magari piacciono meno perché era più legato a quelle più funk, solari. Altri invece sono proprio cresciuti insieme a me quindi hanno apprezzato tutta l’evoluzione. Io non giudico nessuno, l’unico che posso giudicare è me stesso e per fortuna il giudizio che do è positivo musicalmente perché comunque mi sembra che non mi fermi mai, che disco dopo disco c’è sempre contenuto in più, c’è impegno in più, c’è conoscenza musicale in più e anche capacità tecniche in più, sia sul disco che nello spettacolo live.



Sei arrivato all’ottavo disco, la vita in studio, registrare, fare il disco, è diventata una routine e non te la vivi più con il fervore dei quindici anni oppure no?

No, è uguale, anzi, simile. Cambiano alcune cose, nel senso che le prime volte eri proprio emozionato e anche ansioso perché dici “oddio, vado in studio, adesso come faccio a rendere quello che faccio? non avrò quell’energia della gente dal vivo”. Capisci che ci sono differenti approcci, quello dal vivo ha una dimensione e l’approccio in studio ne ha uno del tutto differente e devono rimanere tali. L’approccio in studio deve più rimanere legato al lato interpretativo e tecnico, quello dal vivo più di festa collettiva, quasi orgiastico, non è il concerto della band e c’è il pubblico, è il nostro concerto, almeno io lo vivo sempre così, e ti puoi permettere di fare citazioni, arrangiamenti di un certo tipo che magari sul disco non puoi fare... Quindi c’è la stessa passione, diverse tecniche mirate un po’ ai luoghi in cui uno deve far conoscere i brani o comunque proporli, è un’evoluzione anche questa.

 
Intervista di Flavia

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