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martedì 27 gennaio 2015

I Dischi dei Ritmo Tribale nei primi anni 2000 // Retrospettiva di Ljubo Ungherelli per Bangers Music Academy n°2

Premessa: spesso e volentieri, i giornalisti musicali recensiscono dischi che non hanno ascoltato e concerti che non hanno visto. Io, che non sono un giornalista musicale, ascolto dischi che non esistono e vedo concerti che non hanno mai avuto luogo...Ljubo Ungherelli
                                                                                
RETROSPETTIVA SUI DISCHI PUBBLICATI DAI RITMO TRIBALE NEI PRIMI ANNI DUEMILA

Autori di dischi di culto a fine anni Ottanta, protagonisti indiscussi della breve stagione felice del rock italiano dei Novanta, reinventatisi nel 1999 con un lavoro bello quanto commercialmente sfortunato (“Bahamas”), i milanesi Ritmo Tribale si affacciano nella terza decade di carriera con rinnovato entusiasmo e immutata classe.
Quella che è giudizio di chi scrive è la più grande rock band italiana di tutti i tempi, torna sul mercato nell’autunno 2001 con “Barricata”. Metabolizzato (seppur a fatica, inutile nasconderlo) il distacco dal cantante e frontman Edda, i cinque Tribali (Scaglia, Rioda, Briegel, Alex, Talia) vanno a rimpolpare la loro discografia con un nuovo tassello, l’ennesimo per musicisti che sin dalla fondazione nel 1984 non hanno mai smesso di evolversi.
In un periodo caratterizzato da revival rock, french touche e derive cerebrali di matrice radioheadiana, “Barricata” è un lavoro concettualmente aggressivo (nomen omen) quanto variegato nei suoni.
Autoprodotto nell’autarchica struttura del Jungle Sound (il celebre complesso di sale di registrazione e di prova, gestito dal chitarrista Rioda), il settimo LP dei Ritmo Tribale cesella magistralmente bordate di rock alternativo dei tempi che furono (il primo singolo “Kolossal”: quando ancora non era proibito suonare con chitarre sporche ed essere comunque melodici e trascinanti, con ritornelli appiccicosi), lenti psichedelici come “Drama” e pezzi spezzati un po’ disorganici di matrice post punk (l’inquieta “In space”). Talvolta, tutto ciò si fonde nel corso del medesimo brano (la graffiante “Io grido”, che rimanda alle ritmiche funky metal della loro “Buonanotte”). “Barricata” si rivela insomma un calderone di potenziali hit fuori dal tempo, dove la scrittura nervosa di Scaglia e l’operato coeso del gruppo sono emblematici della maturità esecutiva e soprattutto compositiva di veterani che hanno ancora molto da dire.
Il 2002 sarà un anno autocelebrativo, con alcuni concerti decisamente vecchio stampo (mi piace ricordare quello, memorabile, del 17 maggio al Bloom di Mezzago) e la ripubblicazione dei primi album “Bocca chiusa” e “Kriminale”, rimasterizzati e inglobati in un doppio cd.
Ma già l’anno seguente la band torna al lavoro per incidere quello che sarà il suo disco più spiazzante e sperimentale. “Maschere”, titolo forse ispirato agli istrionici travestimenti del loro roadie–factotum Zymbah, esce agli albori del 2004 e si divide idealmente in due facciate. La prima include sette brani (“Mangio benzina”, “Troppo vuoto”, “Batti”, “Figli della forca”, “Ricatto”, “Schianto sul tuo suolo” e la title-track) e si focalizza su trame melodiche abbastanza tradizionali in un contesto rock, benché già qui non manchino momenti in cui la forma canzone lascia il campo a divagazioni a briglia sciolta. La seconda parte è altresì un magmatico coacervo di suoni spaziali, lunghe fughe strumentali, echi kraut, riverberi, voci filtrate, il tutto in collaborazione con vari alchimisti del suono a dar manforte ai Ritmo Tribale in questa pazzia (interviene anche il loro storico fonico di palco Valter Papatunnel Marchesoni tra un gioco di prestigio e l’altro…).
Col senno di poi mi viene da accostare “Maschere” al famigerato “Lulu” della premiata ditta Lou Reed–Metallica. Allo stesso modo, i fan arrancheranno non poco tra i solchi di “Maschere”, lamentando la proditoria uscita dal seminato di un gruppo che pure si è rimesso in discussione ad ogni prova discografica, senza mai ripetersi. Sostanzialmente promuovo il coraggio e la qualità di molte canzoni, specie quelle d’apertura; qualcosa mi rimane un po’ indigesto, ma si tratta comunque di un disco dei Ritmo Tribale, dove l’eccellenza è di prassi.


  I live tenuti a supporto di “Maschere” estremizzano la tendenza alla ricerca emersa nell’album. Oltre all’esecuzione integrale dell’album, arricchito di dilatazioni finanche eccessive, in scaletta trovano spazio avventurose rivisitazioni di brani “minori” della loro produzione (ricordo d’aver a malapena riconosciuto canzoni che adoro come “Trascinami” e “Julian” in quella veste). Le sghembe e spesso improponibili versioni dei cavalli di battaglia tribali fatte dal redivivo Edda nei suoi primi tour solisti tra 2009 e 2011 appaiono filologicamente esemplari al confronto…
Una lunga pausa seguirà quest’ultimo capitolo musicale. Nel 2007, i Ritmo Tribale s’imbarcheranno in un folgorante minitour di cinque date per promuovere la compilation “Uomini”, che anni dopo sarà anche il titolo dell’esaustiva biografia curata da Elisa Russo, dedicata a questa fantastica band e al profondo segno che ha saputo lasciare nei cuori di chi l’ha amata.
Altri capitoli di questa lunga e avvincente storia saranno scritti in seguito sotto diverse denominazioni (NoGuru, il predetto ritorno di Edda). Se tuttavia avete apprezzato i capisaldi dell’epopea tribale, non potete non dedicarvi anche a queste misconosciute ma non meno degne pagine musicali!

(Nella prossima puntata: quella volta che Erz aprì il concerto del suo rivale in amore Eros Ramazzotti)

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