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martedì 6 settembre 2016

LA GAIA MUSICA // IL PROG ITALIANO E LO SNOBISMO CULTURALE DELLA SINISTRA - TESTO DI JORDAN GIORGIERI


La fortunata stagione del progressive italiano occupa solamente cinque anni, dal 1971 al 1974 compresi, con esperienze proto del 1970 ("Sirio 2222"  del Balletto di Bronzo) e post del 1975 (Napoli Centrale), passando attraverso i grandi album dei magnifici sette (Premiata Forneria Marconi, Banco del Mutuo Soccorso, Orme, Osanna, New Trolls, Area, Battiato). C'è da dire che molta di questa produzione sta attraversando attualmente un periodo di rivalutazione (come accade per molti B-movie diventati cult) a tratti eccessiva, con tanto di conseguenti reunion e tournée spesso infruttuose. Non si starà forse un po' esagerando? C'è da essere onesti, molti album storici di certi gruppi, se paragonati ai cugini anglosassoni, fanno davvero sorridere. Volete mettere "Pawn hearts" dei Van der Graaf Generator a confronto con "Aria" di Alan Sorrenti (peraltro tra i migliori del prog italiano)? Niente da fare, lo "spaghetti prog" non raggiunge i fasti dello "spaghetti western", quanto a credibilità e automia rispetto agli originali. Album di gruppi come il Rovescio della Medaglia, The Trip (entrambi con un'etichetta importante come la RCA), Delirium, appaiono oggi invecchiati e approssimativi, poiché non reggono sia il passare degli anni che il confronto con la produzione inglese; a differenza invece del cantautorato, capace proprio in quegli anni di affermare sempre più la propria considerevole identità, fino a scalzare dalla stagione 1975/76 (nascita delle prime radio libere) tutto il prog italiano, regnando indisturbato fino agli anni Ottanta. Tuttavia le eccezioni esistono eccome e riescono a riscattare certa ingenuità ibrida che sa un po' di King Crimson/Jethro Tull di serie B. Non ci sono solo i sette big elencati all'inizio, ma almeno altri sette gruppi, tra cui Museo Rosenbach, Perigeo e Jumbo.




Questa musica, nonostante la numerosa produzione concentrata in soli cinque anni, non ha mai veramente preso piede in Italia soprattutto per ragioni politiche: o eri esplicitamente schierato a sinistra o eri contestato/snobbato. Perciò chi faceva questa musica finiva per essere chiuso in un limbo strettissimo (pochissime le riviste e le trasmissioni radio/tv sull'argomento) tra impegno e disinpegno, tra circuito ufficiale e circuito alternativo/indipendente. In Inghilterra e Stati Uniti invece era un fatto socio-culturale oltre che politico: la nuova musica nata nel 1965 con la svolta elettrica di Dylan era il vero collante di una generazione in lotta contro la cultura dominante, borghese, conservatrice, moralista e autoritaria. Concludendo si può dire che, volendo ridurre la nuova musica di matrice anglosassone solo a lotta politica, in Italia si è persa l'occasione di conferirle il posto che merita: l'arte.


 Testo di Jordan Giorgieri dei Doppiofondo

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