Riprendendo
il mio primo intervento "Rock, Pop e Musica Colta", vorrei far notare
come i più grandi album di tutti i tempi che ho elencato, chiaramente
escludendo i generi puri da cui il pop e il rock si originano (classica,
jazz, blues, country, folk), si concentrano davvero in pochissimi anni:
dal 1965 al 1974 compresi, ovvero in soli 10 anni. Tutto il meglio è
stato scritto in quei dieci anni e questo è davvero inopinabile. Volendo
essere più stretti direi addirittura 7 anni, dal 1967, primo anno di
psichedelia, al 1973, ultimo anno del grande prog. Passando attraverso
momenti altissimi di musica dal vivo con i più grandi di tutti su un
solo palcoscenico: Monterey Pop Festival (1967), Woodstock (1969), Isola
di Wight (1970), tutti e tre ottimamente documentati dagli omonimi
lungometraggi a colori. Tutto
quello che c è stato prima o dopo deve in ogni caso fare i conti con
questo periodo aureo. Perché? Semplicemente perché è l'unico periodo nel
quale il già citato rapporto tra arte e intrattenimento va in crisi, in
senso positivo però. Mi spiego meglio: mentre all'epoca arte e
spettacolo si distinguevano difficilmente perché ogni spettacolo aveva
in sé qualcosa di artistico (oviceversa), oggi si distinguono
difficilmente perché non esiste più l'arte. Lapidario ma infondo è così.
Ormai, che piaccia o no, tutte le forme di espressione confluiscono nel
puro spettacolo di se stesse, sia che esso intrattenga, sia che esso
respinga. Respingere per intrattenere, intrattenere per respingere.
Quindi la domanda è d'obbligo: l'arte è morta?
Per
rispondervi eviterei di citare Hegel, anche se, ops, ormai l'ho fatto, è
stato più forte di me. Ma non si chiama forse "gaia scienza" questa
rubrica? Va da sé che i filosofi tedeschi dell'ottocento c'entrano
sempre, in qualsiasi discorso. Dopo questa premessa metatestuale, mi
toccherebbe davvero rispondere, ma chi sono io per farlo? Nessuno. Ma
non è forse falsa modestia parlare di falsa modestia? Ecco il primo
paradosso. Le domande universali attirano paradossi. Oscar Wilde a
questo punto si trasforma in Andy Warhol+David Bowie. E Arthur Rimbaud
in Jim Morrison. Se non si muore giovani si può essere poeti ma non
certo maledetti? Falso, perché il poeta non può non essere maledetto.
Specificarlo significherebbe togliere valore alla parola stessa. Carmelo
Bene non è morto giovane ed è un poeta. Sto delirando? No, perché questo è il postmoderno. Ma
cos'è il postmoderno? E' un continuo paradosso citazionista,
un'infinita citazione che finisce (altro paradosso) nel cortocircuitarsi
nella parodia di se stesso. E' un paradosso nel paradosso. In altre
parole: è l'epoca in cui viviamo. Siamo postumi e ne subiamo ancora i
postumi. Ma di cosa poi? Proprio dell'arte.
Il
nuovo millennio, ma già gli anni ottanta e novanta del novecento, non
produce e non può più produrre arte. Accontentiamoci dei postumi tritati
e mescolati in mille combinazioni diverse (ma uguali). Di questo scrivo
e posso scrivere. Imbellettiamo cadaveri. Diamo forma ai classici,
mescoliamo le carte e fruiamo dell'arte che fu. Il postmoderno non è un
movimento, è una condizione, per questo non è superabile; non si può
andare oltre perché implicherebbe andare indietro. Tornare indietro per
andare oltre? Un altro bel paradosso.
Testo di Jordan Giorgieri dei Doppiofondo che per il blog di Riserva Indie cura la rubrica "La Gaia Musica"
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